“Made in Sud” non è, solamente, il titolo di una trasmissione televisiva particolarmanete fortunata, ma costituisce, forse, la migliore sintesi possibile per inquadrare il nuovo corso della Lega di Salvini. Quella formazione, nata più di venti anni fa sulle macerie della Prima Repubblica, ai tempi della gestione di Bossi, era un partito che portava avanti un programma manifestamente secessionista, in nome di un sentimento di avversione e diffidenza, che le genti del Nord hanno avuto verso le popolazioni meridionali, considerate – secondo un luogo comune imperante – abuliche e dissipatrici delle ricchezze italiane, che, in base alla propaganda leghista, sarebbero state prodotte oltre la Linea Gotica.
Un siffatto messaggio, negli anni della Seconda Repubblica, ha avuto un consenso straordinariamente alto in alcune regioni in particolare, mentre, da Roma a scendere giù, naturalmente la forza della Lega andava spegnendosi progressivamente, per cui le fortune elettorali del partito del Carroccio facevano sì che esso non potesse mai superare una percentuale limitata, visto che, appunto, nei due terzi del Paese non prendeva affatto voti.
Dopo le disgrazie di Bossi e del suo cerchio magico, il nuovo corso di Salvini ha modificato profondamente i contenuti politici, per cui è cessata l’epoca anti-meridionalista ed è iniziato un diverso momento storico per gli eredi del Senatùr, ormai sempre meno lombardi e veneti.
Infatti, conquistata la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, il messaggio secessionista ha perso vitalità; d’altronde, gli Italiani hanno potuto verificare come il regionalismo, indotto dalla propaganda leghista, abbia accentuato le criticità, aumentando i centri di spesa e, quindi, dando ulteriore impulso alla corruzione e all’ingrossamento, a vista d’occhio, del debito pubblico.
Pertanto, con il passaggio alla Segreteria di Salvini, non solo doveva essere rottamata una classe dirigente, ma soprattutto bisognava dare nuovo slancio vitale, cambiando sensibilmente i contenuti programmatici ed, in particolare, ipotizzando di prendere voti, finanche, al di sotto del Garigliano.
La scommessa dei prossimi mesi, non a caso, sarà la seguente: potrà il partito, che è stato di Bossi e Maroni, aspirare a divenire una forza nazionale, in grado di identificarsi con gli umori dell’intera popolazione italiana e non solo di quella che vive nell’uggiosa Pianura Padana?
Per fare ciò, è necessario che la Lega interpreti il dissenso, che cresce sempre più forte contro l’euro e contro le politiche governative, ispirate dagli Organismi dell’Unione.
Il gioco è facile: è ovvio che i ceti meno abbienti e meno istruiti identifichino negli indirizzi, imposti da Bruxelles, la causa principale del proprio malessere, per cui la propaganda anti-euro diventa foriera di consensi ampi ed inattesi.
Peraltro, se prima il nemico era il cittadino di origini meridionali, considerato più o meno pigro e ladro, oggi l’obiettivo del messaggio leghista diviene l’extra-comunitario, che porterebbe malattie e criminalità, dal momento che la legislazione troppo debole, vigente da qualche anno, garantirebbe agli immigrati la possibilità di diventare i padroni del Paese a spese degli autoctoni.
Un simile messaggio, oltreché fuorviante, diviene oltremodo pericoloso, perché induce alla violenza, come è successo a Roma, nel caso di Tor Sapienza: la guerra fra poveri – bianchi e neri – è l’ultima delle opzioni, a cui dovrebbe ricorrere un partito per fare voti.
D’altronde, l’assenza in Parlamento di una formazione neo-fascista fa sì che la Lega abbia uno spazio politico immenso: non è certo casuale, se il referente in Europa di Salvini è la Le Pen, figlia del leader che, mai, ha rinnegato la Repubblica di Vichy e, dunque, il Fascismo francese.
Non si può non auspicare che l’avanzata delle truppe di Salvini si possa arrestare a sud di Roma, perché l’eventuale crescita a dismisura della Lega porrebbe problemi serissimi alla tenuta delle istituzioni democratiche; infatti, la ricostituzione di un’area, che più o meno palesemente si richiama alla tradizione nazionalistica, sarebbe un fattore straordinario di destabilizzazione di un Paese, come il nostro, che ora necessita di forze che, saggiamente, sappiano spegnere il fuoco, che si sta accendendo in varie direzioni.
L’autunno e l’inverno, che ci stiamo apprestando a vivere, saranno quelli più “caldi” degli ultimi decenni, visto che, concluso il mandato di guida dell’U.E., molto probabilmente si dimetterà il Presidente Napolitano, per cui, a maggior ragione, in una delicata fase di transizione, sarebbe opportuno che la funzione mediatrice dei partiti della defunta Prima Repubblica si esaltasse e trovasse nei rappresentanti istituzionali attuali degli interpreti idonei ed autorevoli.
Peraltro, la Lega ha un naturale alleato, costituito dalla formazione della Meloni, Fratelli d’Italia, che incarna la tradizione della Destra italiana legata ad Alleanza Nazionale e, prima ancora, al Movimento Sociale.
Se i due partiti suddetti dovessero, in occasione del prossimo voto per il Parlamento, conseguire un dato complessivo superiore o, comunque, prossimo al 20%, sarebbe un risultato, questo, davvero poco felice, perché di fatto indurrebbe le altre forze, fedeli allo spirito della Costituzione del 1948 e contrarie ad esiti potenzialmente autoritari, a coalizzarsi, allo scopo di dar vita ad una maggioranza governativa che non allontani il Paese dall’Europa e dagli impegni, assunti con l’Unione con il Trattato di Maastricht.
È giusto, quindi, che anche la Destra moderata, qualora esista ancora, ipotizzi di non allearsi né con la Lega, né con la Meloni, allo scopo di isolare l’oltranzismo anti-europeista entro una nicchia, politica ed elettorale, nella quale esso non sarebbe di pregiudizio per lo sviluppo dell’apparato democratico, che potrebbe essere sottoposto a sollecitazioni importanti in futuro, per effetto dell’espansione, a tempo indeterminato, della fase regressiva della nostra economia.
Sarà capace di isolare la nuova Lega, quindi, Berlusconi o Fitto o Passera o chiunque altro voglia dar vita all’articolato schieramento laico e moderato?
Sul discrimine dell’alleanza con quelli che appaiono come i nuovi Fascisti del XXI secolo, si giocherà la credibilità democratica di chi, pur nei limiti dell’odierno sistema politico italiano, vorrà rappresentare l’alternativa al Centro-Sinistra e al renzismo dominante.
È possibile, finalmente, creare in Italia una Destra autenticamente liberale ed anti-fascista, che rinunci al dialogo con frange pericolosissime dell’estremismo nero-verde, che possono solo indebolire l’autorevolezza di chi aspira, legittimamente, a governare l’Italia, rimanendo nel solco imprescindibile delle attuali prerogative costituzionali e dei vincoli comunitari?
Rosario Pesce