Il PD ed il nodo Giustizia

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La vicenda campana del PD – tornata alla ribalta mediatica, in virtù dell’intervista odierna dell’Annunziata al protagonista di questa settimana, il Sindaco di Salerno De Luca, candidato alle prossime elezioni regionali – mette in evidenza una tragica realtà: contrariamente al passato, quando nei partiti la volontà politica si formava negli organismi nazionali, per poi ricadere sui territori, oggi la dinamica decisionale segue un iter inverso, per cui un potere locale – come quello espresso, legittimamente, dal Sindaco di una città capoluogo di provincia di medie dimensioni – può mettere in imbarazzo il principale partito italiano, da cui discendono scelte vitali per l’intero Paese.

Nel biennio 1992-94, il sentimento diffuso contro il ceto dirigente dell’epoca era così forte, che Ministri della Repubblica davano le dimissioni dagli incarichi partitici e governativi, semplicemente, a seguito di un avviso di garanzia, mentre oggi una condanna penale – anche se non definitiva – non produce i medesimi effetti.
È evidente che il rapporto fra la politica e la giustizia sia malato ed, ormai, degenerato: la legge Severino, nel 2012, tentò di mettere chiarezza, prevedendo la sospensione dalle funzioni e, dunque, la decadenza sia per i parlamentari, che per gli amministratori, che fossero stati ritenuti colpevoli di qualsiasi tipo di reato, rispettivamente, dopo il terzo e già dopo il primo grado di giudizio.

Quella fu una legge di grande civiltà, benché abbia creato una diversità di condizioni fra deputati ed amministratori locali, ampiamente giustificabile in virtù del fatto che il legislatore, non avendo responsabilità di gestione immediata, non può nuocere all’Erario così prontamente, come può fare un Sindaco o un Presidente della Provincia, che dovesse incappare in reati contro la Pubblica Amministrazione.

Purtroppo, però, le leggi vengono fatte per non essere osservate dagli stessi partiti, che le hanno scritte: essendo stata la Severino voluta dal PD, era giusto che il partito renziano la recepisse nel suo codice etico, per cui quella norma, fatta propria dallo Statuto della formazione più grande d’Italia, avrebbe dovuto escludere a-priori qualsiasi esponente dalle primarie, qualora questi si fosse trovato in uno dei casi di decadenza previsti, appunto, dalla norma che prende nome dal Ministro della Giustizia del Governo Monti.

Invece, le cose non sono andate così, per cui, oggi, il PD si trova con un suo ex-Sindaco, candidato alla Presidenza della seconda regione italiana per numero di elettori, che platealmente definisce “invigliacchiti ed intimiditi” i parlamentari, che non sono propensi a mutare la legge suddetta, per facilitare il suo percorso di avvicinamento a Palazzo Santa Lucia, dal momento che – per quanto lo neghi – sa bene che l’argomento della decadenza non può non procurargli un’emorragia di consensi, oltreché una delegittimazione sul piano dell’immagine, che prescinde dalla perdita – più o meno evidente – di voti.

È ovvio che, dopo aver combinato un casotto simile, i responsabili scappino e non siano reperibili: Del Rio ha negato, a nome del Governo, la possibilità che ci possa essere un decreto, mentre il Presidente del Consiglio ha, sostanzialmente, scaricato il candidato campano, facendo intendere ai suoi uomini che non è disposto a farsi vedere in Campania durante la campagna elettorale, per evitare che un’eventuale sconfitta possa essere addebitata a lui e, dunque, possa compromettere la già difficile vita dell’Esecutivo, appesa al filo esile delle riforme costituzionali e di quella della legge elettorale. La situazione, dunque, è grottesca: un partito, che ha mostrato in passato un inflessibile atteggiamento giustizialista, quando in gioco erano le sorti di Berlusconi, oggi vorrebbe dare una mano ad un proprio dirigente locale, ma, nell’imbarazzo generale dei suoi vertici, rimane immobile, sapendo bene che, se dovesse modificare una norma ad hoc per De Luca, rischierebbe di entrare in conflitto con la pubblica opinione nazionale.

Peraltro, nel suo intervento nello studio dell’Annunziata, De Luca ha bacchettato pesantemente uno dei simboli della Sinistra, lo scrittore Roberto Saviano, reo di aver invitato i Campani perbene a non andare al voto, in occasione delle primarie del PD, per evitare di legittimare, con la loro presenza, delle votazioni – a suo dire – ad alto rischio di brogli.

È evidente che le parole del candidato campano sono un ulteriore schiaffo al buon senso ed alla tradizione culturale della Gauche italiana, perché si sa bene che coloro, che sono campioni di legalità, non meritano di essere attaccati così platealmente, dato che neanche la peggiore Destra ha mai osato mettere in discussione le parole di chi vive blindato, per aver fatto coraggiosamente denunce giornalistiche, che poi si sono rivelate, puntualmente, veritiere.

Pertanto, durante la prossima campagna per le Regionali e nelle settimane successive, sarebbe opportuno che il PD chiarisca, ai suoi elettori ed alla sua base storica, quali sono i propri valori di riferimento in materia di Giustizia, per evitare di accrescere il clima di confusione, che esiste in Italia.

D’altronde, vista la delicatezza della problematica, che si affronta, è chiaro che la Giustizia sia un campo di battaglia fondamentale per chi deve governare territori così difficili, come quelli che si trovano al di sotto del Garigliano, per cui – onde evitare il caos, già, fatto in tema di primarie – sarebbe giusto ed auspicabile che gli organismi competenti del PD dicano cosa intendono fare della Severino, naturalmente stando ben attenti a non far nascere il sospetto che qualsiasi riforma di quella legge sia giustificata meramente dall’interesse – ad hoc – per questo o quell’esponente, perché, se deve finire il tempo anomalo delle leggi “contra personam”, è altrettanto ragionevole che non inizi mai quello dei provvedimenti “ad personam”.

 a cura di Rosario Pesce

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