La questione dei fallimenti dello Stato, e per traslato della Pubblica Amministrazione, in economia è lunga e si fa iniziare con la storia delle organizzazioni umane. Ma in questi ultimi 10 anni la modalità, le forme, i contenuti e i disastri hanno preso una piega ulteriore. La realtà della industria italiana si è sempre caratterizzata per motivi di accentramento produttivo, per capitalizzazioni in capo a pochi uomini, per storie stupende di capitani d’industria, ma anche per la consapevole lascivia di molti amministratori. Un caso a parte è il nostro mezzogiorno, che si caratterizza per una industria che fino al periodo dell’unita d’Italia ha saputo profondere energie e idee positive. Con il secondo dopoguerra, invece, si è passati dal rigoglio ai nefasti periodi della deindustrializzazione. Oggi il caso delle Fonderie Pisano, ubicate in quel di Fratte a Salerno, dimostra come i fallimenti incrociati del Capitale, della difesa dei diritti dell’uomo e della capacità della politica di mediare gli interessi comuni, siano palesi e dirompenti.
La storia è quella della tipica industria manifatturiera pesante, di quel settore della industria metalmeccanica che resiste ancora a logiche di mercato, a commesse che rasentano il mercato oligarchico, ad un settore che utilizza la “forza” lavoro come materia prima, ad una archeo-produzione che necessita di un impatto forte sul territorio circostante. Tutto questo diventa incompatibile con il territorio circostante da quando, con alto spirito di sacrificio, alcuni residenti si spingono ad accusare l’opificio di essere non solo un fortissimo inquinatore dell’ambiente, quanto una causa principale delle morti per tumori che si sono verificate nel decennio. Da qui, come spesso accade, si produce una alterna fase di scontri, di rivendicazioni, di parapiglia che a nulla conducono se non a scontri tra persone, piuttosto che a conflitti ideali e di valore. I comitati civici confliggono con le rappresentanze sindacali, per poi collidere con la proprietà dell’opificio, per poi collidere con le istituzioni, tutto nel segno della richiesta di un ambiente più salubre e di un riconoscimento della pericolosità delle emissioni in aria, nonché del riconoscimento delle concause alla morte di decine di persone.
Gli operai, dal canto loro, rivendicano il diritto al lavoro, la necessità di proseguire la produzione che permette alla proprietà di pagare uno stipendio che permette alle loro famiglie di vivere e ai bambini di poter crescere. La proprietà si lamenta, cercando di scollarsi di dosso le accuse dei cittadini ma anche difendendo in parte le pretese degli operai, soprattutto giocando sul doppio fronte della produzione necessaria e delle commesse in fumo. Intanto, dolosamente, la politica tutta assiste allo spettacolo, non fa nulla o almeno fissa dei “tavoli” in svariati luoghi del Paese al fine di trovare una soluzione al proprio bisogno di non decidere. Infatti, dall’inizio della crisi dei Pisano, la politica non si è mai affacciata, non ha mai dato un segnale di discontinuità, nemmeno ha provato a dare una personale interpretazione ai fatti, né a scatenato il suo bailamme di voci contrapposte. Ma politica è anche il sindacato, che come sempre ha preferito essere al fianco degli operai dimenticandosi del proprio ruolo di sintesi tra le parti contrapposte, spesso diventando l’insipido condimento di sfilate, cortei, presidi, e preferendo le formalità alla vera sostanza ideologica.
Intanto la situazione è degenerata, la produzione si sta fermando, le commesse si sono estinte e non ne arriveranno altre. Le proposte di delocalizzazione non sono state avallate politicamente, i Comuni della provincia hanno iniziato una guerra ideologica contro l’impianto, la Provincia prende atto non potendo fare altro che figurare come statua in giardino, mentre la Regione non ha interesse alcuno al problema e se ne frega beatamente se 140 famiglie vanno sul lastrico. Intanto la politica continua a martellare con la sua assenza, col suo vuoto a perdere, con una inconsistenza sia di proposte che di impegni. Ma questo significa che la politica ha definitivamente abdicato al suo compito, alla sua funzione, lasciando che il Mercato da solo determini le sorti di questo o di quello, dimenticando che non c’è in gioco una fonderia, la quale vedrà i propri titolari espatriare in terre più accoglienti, ma la vita di intere famiglie che vedranno il proprio reddito svanire, e i propri capofamiglia doversi svicolare tra ammortizzatori sociali futili, inconsistenti, e leggi che li condannano a non poter rientrare nel ciclo produttivo perché “vecchi” né poter agognare la pensione in quanto troppo distante dai diritti acquisiti.
Le Fonderie Pisano sono un esempio scolastico per dimostrare che oggi, a discapito di quanto si dica o si pensi, la realtà che Marx ed Engels ipotizzarono un secolo fa è drammatica realtà, e la latitanza delle Istituzioni è l’esempio più scontato di una morte celebrale della politica che non vuole assumersi i propri impegni, delegando per restare viva e vegeta.
A cura Dott. Antonio Ansalone