Bettino Craxi: un leader ingiustamente vilipeso ?

Quella di Bettino Craxi è la vicenda biografica più emblematica della Prima Repubblica: salito rapidamente agli onori della cronaca, per essere stato il Segretario Nazionale del PSI, che portò i Socialisti fuori dall’orbita comunista, egli divenne ben presto il Premier più amato dagli Italiani, perché interpretava il ruolo dello statista decisionista, lontanissimo dai riti gesuitici degli anni ’60 e ’70, quando la vicenda parlamentare del nostro Paese vedeva nascere e morire Governi, le cui sorti erano vincolate a partitini, che avevano un consenso ridottissimo.
La sua ascesa fu, però, costellata da dissapori molti forti sia con i Comunisti, che con i Democristiani: le ragioni della rottura con il PCI non potevano che essere evidenti, visto che, quando i Socialisti di De Martino erano usciti dal Governo nel 1976, per tentare di formare una maggioranza con il partito di Berlinguer, questi aveva preferito il Compromesso Storico con la DC, per cui i Socialisti avevano fatto una battaglia contro i Democristiani, da cui non avevano tratto alcun vantaggio.

Anche, le ragioni della rottura con taluni settori della Democrazia Cristiana erano più che evidenti: il PSI craxiano era un partito, che conquistava fette di opinione pubblica sempre più importanti, per cui era ineluttabile che la Sinistra democristiana di De Mita e Zaccagnini, chiusa in un accordo di ferro con i Comunisti, dovesse soffrire il rapporto privilegiato, che Craxi aveva costruito con Andreotti e con la componente dorotea, di cui Forlani era il massimo interprete.
In pochi anni, grazie a lui, un partito, cenerentola del sistema parlamentare italiano, ne divenne l’architrave, per cui sia i Democristiani, che i Comunisti iniziarono a temere l’onda lunga craxiana, che però non portò mai il PSI ai livelli di consenso, desiderati dal leader milanese.
Infatti, il dato elettorale più significativo fu quello delle elezioni politiche del 1987, quando, dopo circa quattro anni di Governo craxiano, il PSI non raggiunse il 15%, pur dando uno scossone fortissimo alla politica nazionale, visto che il PCI versava in una crisi irreversibile, mentre la DC demitiana era prossima al tracollo, perché vittima delle guerre intestine fra la componente di Sinistra e quella dorotea, che ne aveva il controllo, a tal punto che costrinse, poi, De Mita a rinunciare alla Segreteria Nazionale e a perdere la guida del Governo, che egli aveva reclamato per sé, essendo il leader della principale forza della coalizione di Pentapartito.
Craxi, pur apparendo burbero ed aggressivo, era invero una persona dotata di una carica ideale, che cozzava, poi, pesantemente con il suo modus agendi: sapendo bene di dover competere con i Comunisti, finanziati da Mosca, e con i Democristiani, foraggiati dagli Stati Uniti e dagli industriali italiani, egli finì per costruire un sistema di finanziamento del suo partito al di fuori della legge, anche se era tollerato dai giudici e dalla pubblica opinione nazionale, fino a quando c’era da sbarrare la strada al PCI.
Ma, quando venne meno l’anti-comunismo ed i Comunisti divennero socialisti riformatori, creando il PDS, Craxi si trovò spiazzato politicamente, perché commise l’errore di blindare la sua sciagurata alleanza con Forlani ed Andeotti, non capendo bene che era giunto il momento di mettere da parte l’antica competizione a Sinistra e di dare inizio ad una svolta, che avrebbe dovuto portare la DC all’opposizione, dal momento che quel partito – sebbene votato, ancora, dalla maggioranza degli Italiani – risultava vilipeso ad ampie fette di pubblica opinione ed aveva esaurito la sua storica e nobile funzione, con la caduta del Muro di Berlino nel 1989, con la morte del movimento comunista europeo e la fine ingloriosa dell’Unione Sovietica nel 1991.
Craxi, invece, agli inizi degli anni Novanta, si intestardì in un abbraccio con la DC, che lo avrebbe portato rapidamente alla morte, finanche fisica e non solo politica.
Il sistema della grande industria italiana, d’accordo con gli Statunitensi, non era più disponibile a pagare le tangenti ai partiti, per cui, venendo meno l’opzione anti-comunista, era ineluttabile che intervenisse la Magistratura a fare pulizia, individuando in Craxi il principale nemico da abbattere, dato che i Democristiani, molto più maliziosamente del leader socialista, intuendo il vento che spirava contro di loro, giocarono a nascondino, arrivando – come nel caso di Andreotti – finanche alla proclamazione alla carica di Senatore a vita, ad opera di Cossiga, pur di non andare in galera, come invece sarebbe successo a Craxi, se non avesse preso l’insana decisione di scappare nel suo ritiro dorato di Hammamet, dove sarebbe morto nel gennaio del 2000, in una condizione, che i suoi amici avrebbero definito di esule, mentre i suoi detrattori avrebbero definito di latitante, braccato dalla polizia internazionale, che certamente l’avrebbe arrestato, se, dalla Tunisia, si fosse recato in altri Paesi europei, per farsi curare il fastidioso diabete e le conseguenze di quella subdola malattia, che lo avrebbe portato, tragicamente, alla tomba.
La morte di Craxi non ha, però, chiuso la sua storia, né quella del movimento socialista italiano: è vero che, già dopo il 1994, il PSI si sarebbe sciolto come neve al sole, perché tutti i gattopardi, che erano saliti sul carro del vincitore, fecero subito atto di viltà e di lesa maestà, riparando in lidi ben più sicuri di quelli garantiti dal Garofano, ma, nonostante le vicende penali, sempre più tristi e deplorevoli, i Socialisti, nel corso dell’ultimo ventennio, hanno continuato a segnare la storia italiana, divenendo protagonisti sia a Sinistra, che a Destra, pur non avendo più un leader del carisma di Craxi ed un partito delle dimensioni di quello craxiano.
Amato, Brunetta, Intini, Martelli, Sacconi, Tempestini sono, solamente, alcuni dei nomi della classe dirigente del Garofano, che, accanto a Berlusconi o al fianco dei leaders del Centro-Sinistra, hanno continuato a fare politica, occupando anche posti importanti: ad esempio, Amato è stato Presidente del Consiglio per ben due volte, ora è giudice costituzionale ed aspira, legittimamente, ad un’eventuale elezione quirinalizia, per la quale avrebbe le carte in regola, se Renzi e Berlusconi fossero credibili nel sostegno, che pure la stampa più accreditata ha fatto ipotizzare.
Ma, la fine della Prima Repubblica, dei partiti dell’epoca e delle ideologie loro sottese, ha fatto degenerare il conflitto parlamentare, per cui, se prima i livori personali erano giustificati da posizioni ideali ben distinte, oggi hanno una sola ragione d’essere: il desiderio di fare carriera, che Craxi non ha mai nutrito in modo scisso da una visione politica organica, comunque assai coerente con il modello di uno statista cresciuto nei decenni della Guerra Fredda e della persecuzione comunista contro chiunque si fosse proclamato, a Sinistra, riformista.
Non possiamo, invero, dimenticare che l’unico comunista, con cui Craxi aveva un rapporto politico solido, era l’attuale Capo di Stato, Giorgio Napolitano, che all’interno del PCI, insieme a Macaluso, dava vita alla componente migliorista, che dialogava con il PSI ed aveva relazioni internazionali con l’Europa Occidentale e con l’America, mentre il rimanente PCI si rapportava, unicamente, all’Urss ed ai suoi alleati del Patto di Varsavia.
Quando muore un leader, per un Paese è sempre motivo di tristezza.
La morte, quindici anni or sono, di Craxi ha rappresentato un vulnus della nostra democrazia non meno dell’uccisione di Aldo Moro ad opera delle BR, perché, in entrambi i casi, nitida è stata l’impressione che si potesse salvare una vita, che deliberatamente si è deciso di lasciar morire per cinici e freddi calcoli di ragion di Stato, contribuendo a peggiorare, notevolmente, il clima democratico e ad avvelenare i rapporti fra le persone.
Da quel giorno in poi, i figli di Craxi non hanno più avuto alcuna relazione con Massimo D’Alema e con i vertici del vecchio DS, visto che a loro si addebita, tuttora, l’accusa di non aver mosso alcun dito presso la Magistratura, perché Craxi facesse ritorno in Italia da uomo libero e potesse, quindi, curare il male, che invece lo avrebbe spento in età, ancora, giovanile.
Cosa rimane, dunque, di quella pagina di storia del nostro recente passato?
In primis, l’immagine di un uomo tanto forte, fino a quando ha avuto le leve del potere, e tanto debole, quando un’azione, coordinata da menti raffinatissime, ha contribuito ad eliminarlo dal gioco politico, colpendolo nel suo obiettivo punto debole: il rapporto con il danaro e con le risorse economiche, che dovevano sostenere il suo partito, in evidente posizione di debolezza rispetto al PCI ed alla DC.
Forse, rimane l’icona di un uomo che, cresciuto nel mito di Garibaldi e delle lotte della massoneria ottocentesca, è stato anche lui eroe dei due mondi, a modo suo, visto che ha segnato la storia europea, ma è stato anche parte importante della storia tunisina, dal momento che, intorno a Craxi, crebbe la classe dirigente di quel Paese, rimasta in piedi fino alla cosiddetta primavera magrebina, che ha eliminato – qualche anno or sono – tutti i vertici degli Stati del Nord-Africa.
Forse, rimane il ricordo di un uomo, che ha coltivato il sogno della Grande Riforma dello Stato italiano, che si basava sull’idea fallace che il Paese potesse trasformarsi, finalmente, in una moderna democrazia diretta, sul modello del semipresidenzialismo francese, voluto da De Gaulle.
Purtroppo, le giovani generazioni di oggi, quelle che acquisiscono in questi anni la maggiore età, non possono che studiare tali concetti e fatti dal libro di storia: certo è che, approfondendo quegli studi, anche da posizioni lontane rispetto a quelle di chi simpatizzò con il PSI, non si può non giungere alla conclusione che la classe dirigente odierna – di Destra, come di Sinistra – è solo una pallida copia di quella di venti anni fa, visto che quella attuale è, certamente, mossa da maggiore cinismo ed arrivismo, ma difetta in visione dello Stato e, soprattutto, manca di una carica ideale, che – nonostante le tangenti intascate – animava Craxi e la parte migliore ed, intellettualmente, più evoluta dell’elaborazione culturale craxiana: poi, si sa che, intorno al Re assoluto, crescono e si alimentano i difetti molteplici della sua corte, ma questa – ovviamente – grazie a Dio è, già, un’altra storia, invero molto più prosaica.

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