Arthur Schopenhauer definiva il suicidio un esperimento – una domanda che l’uomo pone alla natura, cercando di costringerla a rispondere. La domanda è questa: Quale cambiamento produce la morte nell’esistenza di un uomo e nella sua visione della natura delle cose? Si tratta di un esperimento maldestro da compiere, perché comporta la distruzione della coscienza stessa che pone la domanda e attende la risposta.”
Perché scegliere di morire?
Durkheim però fu il primo studioso del fenomeno che collegò il suicisio al contesto socio culturale che dell’individuo: confessione religiosa, famiglia, società politica, andando ben oltre la semplice analisi dei fattori psichiatrici. Nella sua pionieristica indagine sociologica, Il suicidio (1897), egli notò, così fortemente basate sull’individualismo, i tassi dei suicidi erano nettamente superiori a quelli riscontrati nelle società di religione cattolica. I meno tentati da questo atto estremo erano, secondo lui, gli ebrei, a motivo del fatto che avevano saputo maturare un forte spirito di gruppo, come forma di reazione alle tante persecuzioni subite. Individuò quattro categorie di suicidio
1. il suicidio egoistico, determinato da un dislivello, percepito come incolmabile, tra i propri desideri e la loro possibilità di realizzazione. In questo caso gli “altri” non vengono visti come fonte d’aiuto, ma come irriducibili concorrenti. Ci si toglie di mezzo per non aver saputo raggiungere uno standard vitale sufficientemente accettabile;
2. il suicidio altruistico è invece tipico delle società primitive o di quelle comunità in cui il rapporto sociale è chiuso, nel senso che l’individuo dipende totalmente dal collettivo, come p.es. il capitano d’una nave in procinto d’affondare o un militare in guerra. L’autoimmolazione diventa quasi un gesto obbligatorio, che può anche essere caricato di ulteriori motivazioni di tipo mistico-religioso;
3. il suicidio anomico è forse quello più interessante, nell’analisi di Durkheim, proprio perché il più moderno, o meglio, il più “occidentale”. “Anomia” significa “mancanza di valori”, di “punti di riferimento ideali”. E’ il gesto di chi non riesce a sopportare improvvise perturbazioni economiche che abbassano il livello del proprio stile di vita; ma anche il gesto di chi non riesce più a ritrovare se stesso all’interno di una società che, nel proprio benessere, evolve troppo in fretta. La corsa continua al successo stressa psicologicamente, rende insicuri e non permette di affrontare con serenità i momenti di crisi;
4. il suicidio fatalistico, che Durkheim ha voluto contrapporre a quello anomico e che non ha molto convinto i sociologici successivi. Si ha quando esiste una sorta di disciplina caratterizzata da prescrizioni assolutamente esagerate, che impediscono all’individuo di emergere, di farsi valere come tale. Una situazione del genere è rappresentata dalla schiavitù.
La conclusione della sua indagine era che il suicidio dipendeva più da dinamiche sociali che da problematiche individuali.
Oggi la sua teoria sociologica sembra più attuale che mai, la crisi economica e la globalizzazione delle relazioni umane in rete, hanno creato una comunità sociale che non vive più di legami solidaristici ma di un egoismo spietato e negativo.
Pensare alla morte include diversi profili di fragilità umana, tra questi c’è chi vede alla morte positivamente
La morte positiva
La morte intesa positivamente. In un primo momento la persona che soffre comincia a prendere in considerazione l’idea di suicidarsi, non in maniera veramente intenzionale, ma come una possibile soluzione ai propri problemi ed al proprio dolore. Il suicidio viene visto come un’ultima via di fuga da percorrere nel caso che gli eventi e la propria situazione precipitasse. Ciò da la possibilità d’iniziare ad immaginare la propria morte in maniera positiva. Non si ha più paura di essa, ma la si vede come un’”amica” che ci darà conforto e sollievo. Il più delle volte il suicidio è la conclusione di un vissuto interiore personale, doloroso e dilaniante, in cui frequenti sono i dubbi sul porre in essere o meno ilsuicidio.
Quali sono i motivi che spingono una persona a suicidarsi?
Il suicidio come senso dell’esistenza quando non si riesce atrovare un senso alla propria esistenza. Le persone hanno una vita normale o addirittura soddisfacente, ma è solo apparenza, dietro c’è una profonda insoddisfazione. Queste persone non credono più in niente e in nessuno: si sentono ciniche, disincantate, senza più sogni, soprattutto non provano più amore. Non c’è una grave depressione dietro questo ma uno stato di latente malessere, che nasconde uno stato depressivo diffuso e non conclamato. Ma, mentre nella depressione classica rimane un anelito di protesta e di ribellione verso la propria situazione, in questo caso l’ aridità della propria esistenza viene accettata come l’emblema della condizione umana. La persona in questo stato non soffre più, perchè non si lascia più coinvolgere in niente, non si sente più delusa, perché non spera più niente.
Il suicidio come “reazione”.
In questo caso la persona che pensa di suicidarsi, reagisce ad una situazione che ritiene disperata. Ha subito un trauma, ha perso una persona cara, ha avuto una delusione professionale o personale. A volte i motivi del suicidio possono sembrare banali soprattutto quando posti in essere da un giovane che si può suicidare per una bocciatura a scuola, per una delusione sentimentale o altro. Quello che è importante non è tanto l’evento in sé, ma il significato che questo assume per la persona che sta male. Perciò, può succedere che quello che agli occhi del mondo può apparire come un piccolo insuccesso, abbia un effetto devastante sull’ autostima in costruzione del giovane. Un fallimento scolastico diventa allora la prova che si è dei falliti, una delusione d’amore diventa la prova che si ha un carattere poco amabile e che nessuno potrà mai amarci. Si può essere depressi, anche senza che ci sia stato un evento esterno scatenante. Alla base di molte depressioni c’è la mancanza d’amore : chi prende in considerazione il suicidio, sente che a nessuno importa se lui vive o muore. La persona depressa fa un bilancio totalmente negativo della sua esistenza che non offre nessun prospettiva di miglioramento : il futuro sarà orribile come il presente o anche peggio. Il suicidio appare, allora, come l’unico mezzo per porre fine alle proprie sofferenze che vengono vissute come intollerabili. Alcune volte, il suicidio può avere un fine “altruistico”: chi si toglie la vita, è sinceramente convinto di essere un fallito e di aver deluso le aspettative degli altri. E’ persuaso di essere un peso per i propri cari ed è convinto che gli altri starebbero meglio senza di lui o di lei Il suicidio come “vendetta”.
Spesso le persone che pensano al suicidio non si sentono amate e considerate. Il suicidio diventa l’unico modo per essere finalmente visti e apprezzati dalle persone che li circondano. L’aspirante suicida è convinto che solo con un gesto estremo come quello di togliersi la vita, potrà far sì che gli altri si accorgano finalmente di lui. Il suicidio diventa un modo per vendicarsi dell’indifferenza o della cattiveria di amici e parenti:costoro saranno costretti a vivere tutta la loro vita, portandosi dietro il peso insostenibile della colpa e del rimorso. Spesso, con la propria morte, il suicida vuole colpire la persona che più l’ha fatto soffrire in vita. Ma dietro alla rabbia, c’è sempre una richiesta d’amore: l’ aspirante suicida spera di ottenere con la sua morte quell’ affetto e quella considerazione che non è riuscito ad ottenere da vivo.
Il suicidio per “amore”.
Quando si perde una persona (sia come morte che come distacco) che si è amato tanto, la mancanza ed il dolore può essere così forte da decidere di porre fine alla propria esistenza. Ciò è particolarmente vero se si era anche dipendente affettivamente dall’altro. Il suicida non desidera realmente morire: vuole solo porre fine ad un dolore insopportabile. Ma quando si è disperati, non si vedono le cose in un modo obiettivo: si pensa che perché il passato è stato brutto e il presente è duro, il futuro sarà altrettanto solitario e privo di amore. Ma nella vita tutto può cambiare, non bisogna mai perdere la speranza. Chi pensa al suicidio vede nella morte la soluzione ai propri problemi, ma il suicidio non è la risposta. Tanti i dilemmi e i dubbi che ci poniamo di fronte a queste ” incomprensibili scelte” , infondo l’uomo ha la libertà di scegliere ogni giorno se vivere o non vivere. Il suicidio è forse quell’atto di libertà assurda che non capiremo mai.