Appare sempre più evidente che il Mediterraneo può trasformarsi in un luogo non di pace, ma di conflitto permanente fra le due sponde, che sono ormai in una condizione di difficile convivenza, visto che i flussi migratori degli ultimi cinque anni hanno messo a dura prova la capacità di recezione degli stessi da parte dell’Europa. La causa di tutto ciò la conosciamo fin troppo bene: quando nel 2010, l’Europa e l’America decisero di sostenere le primavere arabe, non misero in conto che avrebbero attivato un processo, da cui la stessa Europa avrebbe subito conseguenze assai negative, perché i regimi preesistenti, per quanto non fossero democratici, erano comunque in grado di bloccare le invasioni di cittadini africani verso le nostre sponde, facendo sì che la convivenza fosse dignitosa da ambo le parti del Mediterraneo.
Invece, l’ingordigia dei Francesi e degli Americani ha fatto sì che saltasse un ordine mondiale e che questo non venisse sostituito da uno alternativo, visto che i Paesi arabi sono, tuttora, soggetti ad una fortissima precarietà istituzionale, che induce i Governi a durare pochissimi mesi ed a non essere autorevoli rispetto alle esigenze delle loro rispettive pubbliche opinioni.
In tale contesto, l’Europa ovviamente avverte il bisogno di porre fine ad una condizione, che rischia, per davvero, di divenire esplosiva: infatti, qualora i flussi migratori dal Nord-Africa non dovessero cessare, appare prevedibile che, dalle nostre parti, possa succedere qualcosa di poco auspicabile, perché il livello di ricettività dei “nuovi” cittadini è, ormai, giunto al suo limite massimo. Pertanto, l’ipotesi di portare gli eserciti in queste aree del mondo, allo scopo di sconfiggere il terrorismo islamista e di porre fine alla compravendita di esseri umani, da parte delle bande locali di scafisti, appare a molti assai verosimile.
L’Italia, in particolare, dovrebbe essere impegnata a guidare il fronte delle forze europee in Libia, dal momento che la nostra ex-colonia oggi rappresenta il luogo più sovraesposto ai rischi di una vera e propria militarizzazione da parte delle forze del terrorismo islamista. Ma, conviene all’Italia capeggiare una spedizione militare nelle aree, che fino a qualche anno fa governava Gheddafi, con grande vantaggio per il nostro Paese, dato che avevamo molti milioni di euro di commesse industriali ed, allo stesso tempo, il defunto rais di Tripoli ci garantiva dalle emigrazioni fuori controllo?
Sembra ovvio che, prima di iniziare una guerra, bisogna pensare ai rischi ed ai pericoli, che essa può indurre.
Inizierebbe un periodo durissimo per l’Italia, qualora noi effettivamente decidessimo di andare in Libia a combattere contro l’Isis. L’Italia diventerebbe, immediatamente, un obiettivo del terrorismo islamista, per cui la guerra contro l’Islam estremista si trasferirebbe, effettivamente, nelle nostre terre e non diventerebbe peregrina l’ipotesi di vedere le strade di Roma o Napoli o Milano insanguinate come quelle di Londra o di Parigi.
Pertanto, è cosa buona e saggia che, in casi simili, la diplomazia prenda il posto dell’esercito e che, dall’esterno, non portando soldati italiani in Libia, si possa fare in modo tale che il regolamento di conti avvenga fra gli stessi Libici, cioè fra quanti sono sulle posizioni del terrorismo e quanti, invece, sono molto più filoeuropei e filoccidentali. Renzi, su una vicenda simile, gioca una partita importante per il proprio avvenire, né può lavarsene le mani, dichiarando semplicisticamente che la competenza pertiene al Parlamento e non al Governo. Infatti, l’Esecutivo può e deve, sin dalla radice, porre una questione centrale: la nostra Costituzione bandisce la guerra come strumento di risoluzione dei contenziosi fra gli Stati, per cui, in particolare sul caso libico, sia per ragioni di opportunità, che di merito, appare doveroso giungere ad una soluzione non armata del problema, allo scopo di evitare che l’Italia possa essere trascinata in un conflitto fra Occidente ed Islam, che rischierebbe di durare per moltissimi decenni. È in grado Renzi di bloccare, quindi, l’insorgere di un rischio, che può essere foriero di disgrazie inenarrabili per i nostri cittadini, che lavorano in Africa, ma anche per quelli, ancora più innocenti, che al mattino salgono su un mezzo della metropolitana a Roma o su un autobus a Milano e che potrebbero morire per la recrudescenza del terrorismo sunnita?
Crediamo che chi ci governa non abbia perso la saggezza, per cui, in un contesto siffatto, l’Italia potrà far valere il ruolo di grande mediatore a livello internazionale e di Stato moderato, che sa ragionare nella prospettiva del bene non solo proprio, ma di quello in particolare di tutta l’Europa mediterranea.
Rosario Pesce