La modalita’di lavoro in smart working scade oggi 15 ottobre, ed e’ stata prorogata a fine anno e probabilmente si andra’ avanti fino al febbraio 2021, ma la discussione resta aperta per una procedura che l ‘emergenza del Covid ha accelerato, ma su cui non tutte le parti in causa convergono.
La Ministra della Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone ha dichiarato: “Con il Dpcm “abbiamo mantenuto l’impianto dei decreti precedenti con la normativa che prevede che siano i dirigenti a individuare le attività da svolgere da qui a fine anno da remoto. Poi dipende dal livello di digitalizzazione e dal tipo di attività e all’interno di quelle che possono farlo si mette almeno il 50% del lavoro da remoto, per arrivare da gennaio al 60% con i piani organizzativi, i Pola”.
“Un conto è stato lo smart working emergenziale durante il lockdwon, che comunque è servito a garantire i servizi quando il Paese era fermo ed ha rappresentato una riorganizzazione in una fase complessa che ha comunque ha permesso di tenere in piedi i servizi. Altra cosa accade in questa fase successiva: ora le imprese sono aperte e hanno bisogno del supporto della Pubblica amministrazione”, ha aggiunto. “Questa modalità di lavoro si basa sugli obiettivi e deve garantire un rapporto regolare delle imprese con la Pa. Inoltre voglio ricordare che sono stati sottoscritti protocolli di sicurezza per tutelare i lavoratori che entrano negli uffici”, ha concluso.
Ma non tutte le parti sociali sono soddisfatti dell’attuale provvedimento; i sindacati (Cgil, Cisl, Uil, Cisal) chiedono che possano tornare in sede la maggior parte dei lavoratori, primo perche’ molti lavori non possono essere eseguiti da casa, come la didattica, tranne forse che per gli alunni piu’ grandi, e poi perche’ in tal modo viene meno la socializzazione. Ma in particolare ci si lamenta della mancata regolamentazione da parte del governo dello smart working, che deve entrare nel merito delle mansioni che possono essere svolte da remoto e quelle che esigono la presenza. Il segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri sostiene che l’esecutivo finora ha agito con superficialita’ e che si ha l’esigenza di definire le norme di sicurezza per il comparto pubblico come per il privato.
Ricordiamo che su 3,2 milioni di lavoratori pubblici ci sono 1,2 milioni nell’istruzione e nella ricerca, di cui abbiamo constatato le difficolta’ incontrate in primavera, mentre per i 648.000 impegnati nella sanita’ e per le oltre 500mila unita’di forze armate necessita la presenza fisica. Si potrebbe adottare lo smart working sicuramente per i ministeriali.
Smart Working, l’Italia in ritardo.
Da parte delle imprese vi e’un’esigenza diversa: di produttivita’ e di resa; secondo il 69% delle imprese e studi professionali lo smart working della Pubblica Amministrazione mette il difficolta’ il loro lavoro, in quanto i servizi web della P.A. non sono efficienti e producono disagi e ritardi. Giorgio Merletti della Confartigianato ha dichiarato: ”La P.A. deve riorganizzarsi in quanto gli attuali servizi risultano carenti ed inefficienti e non agevolano il lavoro di categorie duramente provate dalla crisi pandemica”.
Non possiamo negare che in Italia ci sia un ritardo nell’avvio delle procedure di digitalizzazione ma anche di mentalita’ per cui non ci si sente pronti a questa rivoluzionaria innovazione, accelerata dal momento critico emergenziale. Christine Lagarde, presidente della BCE, in merito allo smart working, ha dichiarato che solo il 10% ha bisogno di tornare fisicamente al lavoro. Se il quadro europeo e’ questo, per stare al passo noi Italiani dovremo imparare a correre!