Approvato da circa un mese il Regolamento di Governance del Recovery Fund dal Parlamento Europeo, l’Italia sta approntando con scadenza fine aprile il proprio piano identificato dall’acronimo PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Questo Piano si articola in sei punti che rappresentano le aree tematiche fissate dall’Europa e di cui l’Italia ha maledettamente bisogno di attualizzare. Le aree sono:
- Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura;
- Rivoluzione verde e transizione ecologica;
- Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
- Istruzione e Ricerca;
- Inclusione e coesione;
- Salute
Pertanto risulta primaria la duplice transizione, digitale ed ecologica, che implica e richiede forte sinergia tra pubblico e privato. A ruota bisogna affrontare gli spinosi temi del lavoro giovanile e l’accrescimento delle competenze, lo sviluppo del Mezzogiorno e la parità di genere. Temi che non vanno trattati a parte ma che devono essere perseguiti con approccio sinergico e trasversale.
Ed il Ministro dell’Economia Daniele Franco relazionando alle Commissioni di Camera e Senato ha dichiarato che il PNRR costituisce “esercizio di apprendimento” senza precedenti per le istituzioni italiane. Volendo intendere che il valore del Recovery non sta tanto nella enorme portata delle risorse quanto nell’imporre la necessità di ben progettare, valutare e realizzare i progetti in tempi ben definiti.
L’Italia ha la possibilità di ricevere 191,5 miliardi tra finanziamenti e prestiti nel periodo 2022-2026 con una media di 40 miliardi annui. Quindi l’abilità, dettata anche dalla necessità, dovrà essere quella di ben progettare, e non solo annunciare, i percorsi che saranno valutati a priori ma anche a posteriori, da realizzare in tempi certi e definiti.
Questa è l’opportunità, ma vi è anche il rischio che non vi si riesca, a causa degli endemici difetti della macchina ammnistrativa, che non è ancora sufficientemente informatizzata ed il cui apparato non dispone al momento di banche dati che permettano ai vari settori di dialogare tra loro in tempo reale. Aggrava la situazione un quadro normativo e regolatorio complesso e farraginoso: il Ministro dell’ Economia e Finanze è chiamato appunto a fare questo miracolo di coordinamento coi vari Ministeri, magari allestendo una piattaforma unitaria delle informazioni e dei dati e lo snellimento burocratico che dia velocità a quelle procedure che finora hanno paralizzato il funzionamento della P.A.
La novità voluta da Draghi
La novità voluta da Draghi consiste nel proporre il completamento di opere importanti rimaste in sospeso. Ci riferiamo a quelle infrastrutture iniziate con i Fesr (Fondi Europei di sviluppo regionale) in ritardo sia per una lenta fase istruttoria che realizzativa. A queste opere saranno destinati 31,8 miliardi di euro provenienti dal Recovery, che andranno a liberare risorse dal bilancio dello Stato che potrà quindi riequilibrare gli scostamenti dovuti a spese per ristori e sostegni. L’impegno temporale resta quello di terminare i progetti entro il 2026 rispettando le scadenze del Recovery. Perchè ciò si possa realizzare dovranno essere semplificati sia i vincoli che le norme in materia urbanistica e di tutela ambientale. Quindi saranno rinviate le valutazioni di impatto ambientale a dopo l’approvazione del progetto bypassando quindi consigli comunali e le conferenze di servizio per le varianti.
Quindi l’imput partito da Draghi consentirà di completare opere di primaria importanza, riguardanti ad esempio trasporti e logistica, come la linea ferroviaria Brescia-Verona-Vicenza o il progetto che prevede il collegamento dalla Liguria alle Alpi, la riqualificazione della linea Orte-Falconara e Roma Pescara; ci sarà anche l’occasione di terminare la Salerno-Reggio Calabria e la linea Catania-Palermo.
Sul fronte stradale si punterà al rifacimento di ponti e gallerie in tutta Italia, argomento di scottante attualità dal momento che molte Procure hanno messo sotto inchiesta lo stato manutentivo di numerosi tratti stradali.