La nuova macelleria sociale, ovvero lo scempio dei quarantenni sui trentenni.

Di solito per “macelleria sociale” si è sempre inteso quel comportamento finalizzato a far strage delle conquiste sociali, con particolare riferimento agli aspetti economici di tali conquiste. Ebbene, tale termine va, secondo il mio umilissimo parere, aggiornato in senso spregiativo con riferimento alla risorsa “giovani alla ricerca del posto fisso”, uso una perifrasi per indicare lo scempio che si commette nell’accumulare centinaia, se non migliaia, di giovani in un solo luogo fisico isolato, con la prospettiva di accedere al miglior posto pubblico. Ieri l’altro ho assistito ad una delle ormai continue sessioni di macelleria sociale, che la nostra politica pone in essere con scientifica cadenza e con misurata quantità.

Ho parlato di macelleria sociale, o meglio di una nuova forma di questa disgustosa pratica. Questa modalità di approccio alla ricerca dei futuri dipendenti pubblici è per l’appunto una delle tante manifestazioni della cosiddetta “macelleria sociale”. Uno Stato apparato che deve selezionare i suoi dipendenti non può e non deve partire dal presupposto che la politica ne debba dettare le esigenze e i tempi di attività.

Non è concepibile che in alcuni uffici ministeriali, ma anche degli Enti periferici, si arrivi a veder ridurre il numero dei dipendenti a l’unità, e non poterli sostituire con forze nuove, solo per uno strano e assurdo corollario economico; la politica non deve nemmeno dettare i tempi di indizione dei concorsi, altrimenti si finisce con il paradosso di un concorso pubblico a duecentocinquanta posti a cui presentano la domanda di partecipazione in trecentomila, che è la massa di coloro che possono parteciparvi e che sono un decimo della massa totale dei concorrenti attualmente impegnati alla ricerca di un posto pubblico, arrivano ai test in trentamila, per poi arrivare agli orali in tremila, e tra questi scegliere i trecento papabili da cui ottenere i duecento cinquanta richiesti, che sono pure insufficienti rispetto alla esigenza della pianta organica di quell’Ente, tutto per andare in televisione a sbandierare di aver voluto risolvere il problema dell’occupazione, visto che altri non lo avevano fatto.

E’ lì il paradosso di questa nuova macelleria sociale, è in quella mole enorme di aventi diritto che la politica nostrana crea con scelte ottuse e finalizzate alla propria conservazione, scelte che spingono le famiglie a doversi piegare ai dettami prospettati di una vita migliore per i propri figli, una politica che pur di fare annunzi a gogò non pone freno allo stillicidio umano, mascherando il posto pubblico come panacea di ogni povertà; una politica in cui i quadri dirigenti pensano di auto-conservarsi producendo università che sono costrette a sfornare masse enormi di studenti “saccenti” che di fronte alla domanda sull’art. 84 della Costituzione italiana, fanno fatica a ricordare il secondo e terzo comma, ma che conoscono a menadito il primo; giovani laureati a cui chiedi l’anno della guerra d’Indocina e ti rispondono con l’indipendenza del Myanmar.

Quello che vorrei comprendere è: perché si deve giocare a fare politica sulla pelle dei giovani, qual’è lo scopo ultimo di vedere migliaia di studenti parcheggiati nelle università, far laureare giovani che sono palesemente memorizzatori convulsivi, perché applicare lo scempio del baronaggio pur di avere “aule pienissime di studenti” ai corsi, perché lottare internamente alle università per la propria posizione e lasciare che gli studenti si insacchino di nozioni a memoria, perché perculare il prossimo con la facile illusione dello stipendio da nababbo rispetto alla fame diffusa.

I concorsi pubblici, in questa epoca di proposizioni propagandistiche, hanno assunto il ruolo di ultima spiaggia per centinaia di migliaia di giovani a cui la politica (volutamente citata in minuscolo) non sa dare alternative, vuoi perché diretta da figure dalla palese ignoranza e impreparazione, vuoi perché governata da élites i cui interessi di conservazione trasformano i principi e la morale in momenti di rafforzamento della propria figura politica.

Quando si parla di Stato di Diritto, di articoli della Costituzione che salvaguardano la terzietà, lo spirito di sacrificio, la funzione edificatoria, la proiezione verso i cittadini, allora mi inalbero (frase edulcorata). Perché creare le condizioni generali per uccidere l’imprenditoria, per costringere i professionisti a cabotaggi quotidiani, perché introdurre sistemi di tassazione tali da stroncare il decollo a chi prova a impegnare il lavoro, perché distruggere quelle forme di istruzione che sono finalizzate a creare manodopera specializzata, perché omologare e massificare al ribasso la formazione negli istituti superiori, sapendo che dall’obbligo scolastico uscirà solo una massa indistinta di giovani senza speranza e senz’arte.

La politica, al netto di qualsiasi colore politico, col suo giovanilismo di ritorno, con i suoi figuri giovanili che parlano di giovanilismo ma che praticano il manuale Cencelli da esperti capitani di lungo corso, sta distruggendo il futuro di questo Paese; la scorribande dei vecchi politici hanno finito con il lasciare spazio ad una nuova classe di quarantenni ancor più affamati e truci, che non hanno alcuna remora nelle loro idee e nelle loro mosse; quarantenni che sbrodolano proposizioni assurde, e in materia economica rasentano l’assurdo, con la stessa facilità con cui parla un neonato; giovani saccenti, magari formatisi in organizzazioni i cui principi sono dichiaratamente sociali ma occultamente competitivi, che arrivano al potere sostenuti da vecchi tiranni ormai defilatisi per non cadere nel cono d’ombra della vita pubblica; giovani politici che tentano, alla dick of dog, di fare azioni politiche senza comprenderne la finalità e lo stesso obiettivo, tutto purché si resti a galla, si vinca la sfida, si faccia parlare di sé.

E sono leader politici che nascono veramente sotto i cavoli, accompagnati da cicogne vecchie, in canovacci ingialliti e lordi; politici che dovrebbero fare del loro meglio per sviluppare un paese che langue e arraffa il domani con le unghie, che sopravvive ad un passato di feste, farine e forche. Invece concorrono a demolire, a corrodere da dentro, a sfaldare i mattoni, a proporre cure palliative a virulente malattie ideali.

Non si deve lucrare sul futuro, non si può marciare imperiosi stando sulle spalle del proprio popolo, tenendosi i pantaloni lindi mentre le folle si lordano i loro tenendoli sulle spalle. Questa macelleria un giorno finirà, e finirà nel peggiore dei modi; con buona pace dei “riservisti” politici, la crisi non è finita, la luce nel buio è ancora un puntino, il lavoro è materia che può distruggere tutto se non governata con maestria da manipolatore di polveri da sparo.

Bisogna rompere l’assedio, fare in modo che il sistema scolastico “formi” i futuri lavoratori secondo quelle che sono le esigenze di una imprenditoria nuova fondata sulle scelte più utili alla ripresa dei redditi; bisogna rimodulare la tassazione per liberare investimenti, trasformare lo studio in opportunità, indirizzare e non “limitare” le scelte di studio, perché il numero chiuso è come un divieto per un bambino, per ripicca sceglierà proprio quel divieto; bisogna credere che i giovani siano “risorsa” umana e non più strumento di incentivo temporaneo. Finitela, voi politici quarantenni, di giocare ai politici con la pelle dei vostri fratelli minori, altrimenti le prenderete di santa ragione.

a cura del Dott. Antonio Ansalone

Ultimi Articoli

Articoli correlati