Appare evidente che, dopo diciotto mesi di Governo, qualcosa nel rapporto fra il Presidente del Consiglio e la pubblica opinione italiana si è incrinato. Il grande rottamatore, o almeno colui che si era presentato come tale, ha dovuto fare, in questo anno e mezzo di permanenza a Palazzo Chigi, una serie di compromessi, che ne stanno minando la credibilità sul piano politico, interno ed estero. Se nel suo partito è stato abilissimo nel rottamare gli esponenti della vecchia generazione, da Bersani a D’Alema, all’interno della compagine di Governo non ha esibito la medesima virtù, visto che, ad esempio, il potere contrattuale di Alfano è, nettamente, superiore ai numeri sui quali può contare il NCD. È ovvio che, finanche in occasione dell’ultima vicenda di cronaca parlamentare, il voto per gli arresti del Senatore Azzollini, Renzi ha subito il diktat del Ministro degli Interni, che ha legato la permanenza del suo partito in maggioranza al salvataggio del parlamentare molfettese, che prontamente è arrivato.
Peraltro, i provvedimenti, assunti in politica economica dal Dicastero odierno, hanno prefigurato una battaglia ideologica, ma nel concreto hanno modificato poco e male lo stato vigente delle cose. Infatti, i vantaggi del Jobs Act sono ben lungi dall’essere percepiti, benché Renzi continui a disegnare scenari paradisiaci, che ieri sono stati smentiti dal Presidente dell’Istat, che, dall’alto dell’autorevolezza scientifica della sua funzione, ha dichiarato senza mezzi termini che, intorno al nuovo provvedimento in materia di politica del lavoro, è stata scritta una letteratura copiosa dal Governo, che non trova riscontro nei numeri e nelle statistiche. Inoltre, Renzi appare in difficoltà sul piano dell’immagine, che pure dovrebbe essere il suo punto forte. Nel corso di questi mesi, infatti è emersa l’immagine di un leader che, per quanto sia un abile comunicatore, è divenuto progressivamente la controfigura di se stesso, visto che egli stesso, talora, non crede al forbito racconto apologetico, che pure è in grado di tessere intorno alle presunte sorti magnifiche del suo Governo. D’altronde, non si può, per troppo tempo, fare una narrazione del Paese ben diversa da quella che è. Il disagio di molti strati è lampante, così come la diminuzione progressiva degli elettori è la prova più verosimile che qualcosa si è rotto nel rapporto fra il Palazzo ed i cittadini, finanche quelli che, almeno fino a qualche tempo fa, appartenevano a ceti sociali forti e garantiti.
Oggi, invece, il racconto di Renzi è gravemente in difficoltà ed, all’interno del cerchio magico renziano non toscano, cominciano a levarsi delle voci, che fanno intuire bene quanto diversificate siano le posizioni dell’odierno del gruppo dirigente del PD. Agli osservatori più attenti non sarà sfuggito il commento della Serracchiani, che, dall’alto della sua carica di Vice di Renzi nel PD, ha fortemente stigmatizzato il voto dei Senatori democratici in favore di Azzollini nelle stesse ore in cui, invece, il Presidente del Consiglio dichiarava con secumera che i “Senatori non sono i passacarte delle Procure”. Chiaramente, due dichiarazioni – quella della Serracchiani e quella di Renzi – in manifesta contraddizione fra loro. Peraltro, nulla si è fatto, ai vertici del PD, per limare tale divergenza, che è esplosa, finanche, sui media. Non sappiamo, certo, se Renzi accompagnerà il Paese fino alla fine della legislatura o se sarà sfiduciato molto prima del voto previsto per la primavera del 2018. L’esistenza del suo Gabinetto è legata agli esiti delle indagini delle Procure, in particolare di quella romana, che sta indagando sul filone di “Roma Capitale”.
Qualora lo scandalo dovesse colpire, anche, esponenti del Governo e non solo le Amministrazioni comunali capitoline, attuale e del passato, come è successo finora, è lapalissiano che si imporrebbe una riflessione importante intorno alle sorti di un Esecutivo, che non riscuote più le simpatie della maggioranza degli Italiani.
Non può sfuggire che, anche al Quirinale, il clima nei riguardi di Renzi sia cambiato molto radicalmente, se è vero che, non più tardi dell’altro ieri, il Presidente della Repubblica, in modo solenne, ha dichiarato che nessuno può immaginarsi “come l’uomo solo al comando delle istituzioni repubblicane”.
Una frase sibillina, tanto più rilevante dei suoi umori, se si tiene conto dello stile molto asciutto e sobrio del Capo dello Stato. Chi, allora, prenderà il posto di Renzi e, soprattutto, con quali voti nell’odierno Parlamento?
Questa, però, è già un’altra storia, ben lungi dall’essere raccontata.
Frattanto, bisognerà capire per mano di chi ed a quale prezzo politico il novello Cesare cadrà nei prossimi mesi.
Rosario Pesce