La decisione di far svolgere regolarmente le primarie, per l’individuazione dello sfidante di Caldoro, ha messo in fibrillazione il PD: infatti, taluni di quegli ambienti, che avevano lavorato per non far celebrare il voto di domenica, hanno deciso non solo di disertare l’appuntamento elettorale, ma sono giunti a decisioni sorprendenti. Il candidato Migliore, che avrebbe dovuto essere l’elemento unificatore, intorno a cui veniva a coagularsi il 70% dei componenti dell’Assemblea Regionale, e che pertanto avrebbe dovuto dare un indirizzo condiviso al PD, mandando a casa definitivamente sia Cozzolino, che De Luca, ha reso pubblica stamane la sua volontà di non partecipare alle primarie, dopo un incontro con Renzi – i cui contenuti sono ignoti alla stampa – visto che l’ex-parlamentare di Sel era stato individuato, per questa delicata funzione, proprio dall’area renziana e riformista del partito campano.
Inoltre, Paolucci, parlamentare europeo, e Vaccaro, capocorrente dei lettiani a Napoli e Salerno, si sono autosospesi dal partito, uscendone di fatto, dal momento che hanno dichiarato di avere poco o nulla a che fare con i due protagonisti del voto del 1 marzo. In una tale condizione di caoticità, vorremmo fare qualche riflessione, visto che non si può andare serenamente al voto di domenica, se non si pongono dei paletti ben fermi. Innanzitutto, è evidente che il metodo delle primarie sia un fattore essenziale della vita interna del PD, dato che, sin da quando esso è nato, attraverso una siffatta metodologia, sono state apportate le principali novità allo scenario politico nazionale, per cui, se ad un tratto si dichiara che tali elezioni possono essere sporcate da contaminazioni camorristiche, si rischia – come si dice in gergo – di scoprire l’uovo di Colombo.
Qualsiasi elezione, invero, non regolamentata dalla Corte d’Appello, può essere così fragile da registrare l’intromissione di individui, che nulla hanno in comune con la democrazia e la legalità. Una simile osservazione, però, non può costituire certo la ragione, per cui si rinuncia alle primarie, dal momento che, nonostante il pericolo di infiltrazione della camorra esista comunque ed ovunque, esse sono state svolte, finanche, laddove il rischio era alto almeno quanto in Campania, venendo l’esito delle stesse, poi, ratificato dalla Commissione di Garanzia.
Le obiezioni di merito sulla qualità dei candidati, avanzate dai parlamentari, che hanno deciso di lasciare il PD a poche ore dal voto, ci sembrano inopportune. Perché le stesse persone, che criticano duramente Cozzolino e De Luca, non si sono proposte per la Presidenza della Regione Campania, forti di un consenso, quale quello che esse hanno ricevuto in passato, in occasione di precedenti elezioni dello stesso tipo, quando gli stessi esponenti – in prima persona o attraverso gli uomini e le donne delle loro rispettive componenti – hanno preso parte alle primarie, senza temere in quel caso che invasioni nefaste potessero inficiare la correttezza formale del voto popolare? Inoltre, ci sembra molto strano il silenzio del Presidente del Consiglio, che, pur essendo informato degli sviluppi della vicenda campana, ha sempre evitato di prendere la parola e di dire la sua opinione.
D’altronde, la Campania è pur sempre la seconda Regione italiana per numero di elettori, per cui essa merita un impegno diretto del Premier, nonché Segretario Nazionale del PD, che finora ha, invece, scelto di defilarsi sistematicamente, lasciando a Guerini il delicato compito di relazionarsi con i capibastone locali, in particolare con gli stessi, che oggi hanno deciso di abbandonare il campo, dopo aver perso la partita in modo così ridondante. Noi la pensiamo, esattamente, come il Giudice Cantone: le primarie devono essere previste per legge per tutti i partiti; devono inoltre essere regolamentate e controllate dalla Corte d’Appello, tanto più se la legge elettorale per la Camera – ed, eventualmente, per il Senato – dovesse continuare a prevedere il meccanismo della lista bloccata. In assenza, però, di un provvedimento legislativo siffatto, è giusto che esse si svolgano, anche se possiamo ben immaginare la lunga scia di polemiche, che seguiranno dopo il voto di domenica, che, in parte, hanno già preso le mosse stamane. Frattanto, in qualità di tesserati del PD, noi andremo domenica al seggio, per onorare un momento fondamentale di democrazia interna, sapendo bene che chi dovesse vincere la battaglia del 1 marzo, avrà una marcia in più nella sfida contro Caldoro. Invero, al di là di ogni polemica sterile, non ci interessa altro che togliere, nel prossimo mese di maggio, Palazzo Santa Lucia dalle mani di una Destra, che – nei cinque anni di governo regionale – si è limitata a commissariare l’Ente ed a ragionare entro una logica meramente finanziaria, che ha eliminato alla radice occasioni di sviluppo e di crescita civile per le popolazioni, che vivono al di sotto del Garigliano.