IL MURALE DELLA PACE AD AVELLINO

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​Il Murale della pace, che si trova nella chiesa parrocchiale di San Francesco d’Assisi del Borgo Ferrovia ad Avellino, copre l’intera parete absidale, è alto 6,3 metri ed è lungo 22 metri, occupa una superficie di circa 130 mq.

​Per incarico del parroco dell’epoca don Ferdinando Renzulli, l’affresco fu realizzato tra il maggio 1964 e l’ottobre 1965 dall’allora giovanissimo pittore Ettore De ConcilJis insieme al collega Rocco Falciano.​Il titolo della composizione artistica era: Pace, bomba atomica e coesistenza pacifica, in seguito è divenuto, più semplicemente, Murale della pace.

L’affresco fu inaugurato il 23 ottobre 1965.
​Sin dalla sua apertura al pubblico gran parte della critica artistica considerò quest’opera controversa, non adatta ad un luogo di culto, quale è una chiesa parrocchiale.
Secondo il celebre critico d’arte Vittorio Sgarbi il Murale della pace mostra “un’umanità divisa tra violenza e speranza, fra dolore, errore, disperazione e riscatto, in un mondo desolato e devastato”.

Lettura critica del Murale della pace

​Nell’insieme l’opera appare confusa, per cui, per poterla meglio comprendere è opportuno considerarla parte per parte: “Zona centrale”, “Zona degli orrori della guerra” e, infine, “Zona di San Francesco”.

​Nella “Zona centrale” troviamo l’immagine di un edificio semidistrutto, mentre sullo sfondo il fungo della bomba atomica sovrasta una città diroccata, quasi rasa al suolo, in cui si potrebbe riconoscere Roma.​Inoltre, una figura inquietante è posta in alto: un lupo ululante su alcune macerie, che dirige il suo sguardo verso uno spicchio di luna.​In questa zona sono presenti anche alcune immagini di asiatici, come probabile riferimento alla guerra in Corea.

​Sulla destra lo spettatore può osservare la cosiddetta “Zona degli orrori della guerra”, caratterizzata da colori scuri e contrastanti, che illustrano terribili scene: bombardieri in volo, resti di edifici distrutti, cadaveri umani, filo spinato, patiboli con i condannati appesi, militari con armi spianate, e, infine, alcuni superstiti angosciati dalla distruzione, e presumibilmente affamati e sofferenti.

Un papa, probabilmente Pio XII, emerge di spalle da una selva di baionette inquietanti.​In questa zona risalta le figura di un uomo, scuro in volto, vestito di grigio, che verosimilmente ha raccolto dalle rovine un crocifisso (fornito di base), quale simbolo di speranza e di redenzione.​Presumibilmente questa zona è un monito alle generazioni future a non dimenticare gli orrori perpetrati nella seconda guerra mondiale.

​Sulla sinistra dell’affresco, nella “Zona di San Francesco”, sono rappresentati i contemporanei agli autori, uomini sopravvissuti al cataclisma, probabilmente consapevoli della “grazia della vita”.
​Qui è illustrato un “mare ondeggiante” di volti attoniti, quasi pietrificati, molti con la bocca aperta, tutti tristi e forse un po’ malinconici. Il “mare ondeggiante” è formato da decine di ritratti, tra i quali è possibile riconoscere, con un po’ di fantasia, molti personaggi della storia politica e culturale della prima metà del ventesimo secolo.

​La figura di san Francesco d’Assisi si staglia nello spazio: è sospesa sulla folla ed è ingrandita rispetto alla altre figure.
L’icona del frate d’Assisi è realizzata con la tecnica del collage, con frammenti di sacco colorati in ocra.La figura di San Francesco “riprende” il celebre ritratto del poverello affrescato da Cimabue nella Basilica del santo nella città di Assisi.
​In questa zona in alto, all’estrema sinistra, vi è una sorta di processione formata da una schiera di persone tristi e avvilite, probabilmente si tratta della famosa “Juta a Montevergine” una sorta di festa processionale animata da canti e balli che partiva da Ospedaletto d’Alpinolo fino al santuario di Mamma Schiavona.

Analisi critica e storico-artistica

​Come si può notare la cifra stilistica dei due autori non è univoca, né congruente, ma appare confusionaria e disordinata, probabilmente ciò è stato realizzato proprio per creare nell’osservatore reazioni contrastanti ed inquietanti.
​L’opera presenta numerosi richiami e citazioni di lavori di altri autori, la complessità espressiva è simile al celebre murale “Detroit industry” realizzato nel 1932-1933 da Diego Rivera; si intravedono i colori di “Guernica” del 1937 di Pablo Picasso, al lato destro dell’osservatore; il disordine e la confusione di “Occupazione delle terre incolte in Sicilia” del 1949-1950 di Renato Guttuso, a lato sinistro. Alcuni personaggi dipinti sembrano ispirarsi alle opere di George Grosz. Tutto questo, giusto per fare alcuni semplici esempi.

L’importanza pedagogico-educativa

​L’affresco denominato Murale della pace mostra essenzialmente l’umano desiderio di pace e il rifiuto della guerra.
​L’opera che domina l’abside della chiesa di San Francesco d’Assisi ci conduce a riflettere sulla pace. Per questa ragione ha un notevole significato pedagogico-educativo, che potrebbe essere meglio valorizzato, magari realizzando un museo della pace.
È una rilevante testimonianza per le nuove generazioni, dando ad esse la possibilità di comprendere le parti salienti presenti nell’affresco che, invero, esprimono: fame sofferenze, paure, terrori e distruzioni avvenute nel Ventesimo secolo.

​Un’opera certamente valida per la sua capacità espressiva; è probabile, però, che non sia adatta né opportuna se inserita all’interno di un luogo di culto liturgico cattolico.

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