Il calcio fra giustizia sportiva e civile

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La sentenza dell’altro giorno della Cassazione, che manda assolti – per intervenuta prescrizione – i due principali imputati di Calciopoli, Moggi e Giraudo, non chiude certo il capitolo delle inchieste, di ordine sportivo e civile, sul mondo del calcio. 

Infatti, innanzitutto, l’assoluzione è maturata – come dicevamo – per prescrizione, il che significa che l’impianto accusatorio della Procura della Repubblica di Napoli si mantiene sostanzialmente inalterato ed invitto, ma intervengono – appunto – i tempi, fissati per legge, a dirimere la questione, per cui la condanna, formulata nei primi due gradi di giudizio, non può essere confermata dal giudice di ultimo grado. 

L’assoluzione dei due dirigenti juventini dell’epoca risolve, nel migliore dei modi possibili, il percorso penale in loro favore, ma rimane aperta una pagina, che difficilmente si chiuderà nelle prossime settimane: quella del risarcimento, richiesto dalla Juve, che – alcuni anni or sono – avanzò alla Federcalcio, sostenendo di essere stata penalizzata oltremodo dalle sentenze della Giustizia sportiva, che la videro retrocedere in Serie B, dopo la sottrazione degli scudetti, che facevano riferimento ai campionati attenzionati dalla Magistratura penale.

La Federcalcio, dal canto suo, non può che, legittimamente, affermare una posizione condivisibile: la lite, impostata dalla dirigenza odierna della Juventus, è temeraria , tanto più in funzione del fatto che l’impianto accusatorio, contro l’amministratore delegato ed il direttore generale della società torinese dell’epoca, non è mai stato sconfessato da nessun tribunale italiano, né di merito, né di legittimità. La questione è, ovviamente, problematica: non solo, infatti, sono in gioco interessi per svariate decine di milioni di euro, ma soprattutto ne va del blasone di una società, che ha subìto una retrocessione nel momento di maggior splendore del suo percorso tecnico, economico e sportivo. 

Peraltro, la società controinteressata, l’Inter, non versa in una posizione migliore in questo momento, perché, dal 2006 in poi, sono frattanto emerse le telefonate, fatte da Facchetti agli arbitri, che meriterebbero di essere attenzionate dal giudice sportivo, ma – per effetto, anche in questo caso, della prescrizione – il giudizio non può impiantarsi, perché siffatti dati sono stati scoperti, ormai, fuori tempo massimo da Palazzi e dalla sua Procura Federale.

 Il contenzioso rimarrà, quindi, in vita, perché – molto probabilmente – la Juventus, non vedendosi soddisfatta per via extragiudiziale, chiederà alla Federcalcio di poter sciogliere la clausola compromissoria e di adire, dunque, la Giustizia civile, per recriminare ciò che essa crede di poter ottenere da un giudice collegiale diverso da quello sportivo. Si sa bene quanto lenta sia, nel nostro Paese, la Giustizia civile, per cui, per giungere ad una sentenza definitiva, sarà necessario non meno di un decennio, a partire da oggi: invero, un tempo biblico, se si considera che, dallo scoppio di Calciopoli, sono già trascorsi nove anni. 

Non è nostro interesse entrare nel contenzioso fra due acerrime ed opposte tifoserie – quali sono quelle interista e juventina – così come non entriamo nel merito di pronunce di Tribunali, che si realizzeranno fra molto tempo, ma un aspetto ci piace mettere in rilievo: il calcio italiano frequenta troppo i luoghi, dove si esercita la giurisdizione, civile e penale, a fronte di successi sportivi, che scarseggiano sempre più, visto che l’ultimo trionfo della Nazionale risale al 2006, cioè ai Mondiali che si svolsero in Germania e che videro per protagonisti i calciatori di quella Juve, alla quale sarebbero stati tolti – di lì a poco – gli scudetti acquisiti, comunque, sul campo.

Nel corso di quest’ultimo decennio, il calcio italiano purtroppo ha fatto parlare di sé più per gli scandali, che non per i trionfi: le nostre stesse società blasonate, dopo l’ultima vittoria in Champions dell’Inter, che risale al lontano maggio 2010, non sono state più capaci di conquistare trofei continentali, per cui, nelle classifiche mondiali, il nostro massimo campionato professionistico – la Serie A – ha perso progressivamente posizioni, dato che i campioni più importanti, attualmente in circolazione, preferiscono andare a giocare in Spagna o in Inghilterra o in Francia, dove gli stipendi sono molto più alti e dove l’attenzione mediatica si sofferma, unicamente, sui fatti di natura sportiva e non su altre componenti di livello extra-calcistico. 

Quando ci sarà, finalmente, un’inversione di tendenza, per cui torneremo a far parlare del nostro sport più amato, solo, per le vittorie e non per eventi ignominiosi? Quando, ancora, la stampa cesserà di contaminare la cronaca sportiva con quella giudiziaria, per cui, tuttora, sembra che Calciopoli non sia mai cessata?
Quando finiranno accuse, dubbi, veleni, sospetti, che avvelenano, ogni domenica, le partite di cartello, per cui – a torto o a ragione – si ipotizza, sempre, che un’eventuale decisione sbagliata di un arbitro sia il frutto della sudditanza psicologica, mai eradicata del tutto dai verdi campi di gioco?

Anche, in tal caso, è necessario forse – come per altre istituzioni del Paese – il nascere di una classe dirigente, che abbia l’autorevolezza giusta per garantire gli interessi legittimi di tutti i soggetti concorrenti, indifferentemente se siano piccole o grandi realtà economiche? Quando potremo tornare allo stadio, tifando per i colori, ai quali siamo affezionati, sapendo bene che lo spettacolo – cui stiamo assistendo – è un semplice match di calcio, che non nasconde risvolti inquietanti di altro tipo? Frattanto, in attesa che i nostri quesiti trovino una risposta adeguata, non possiamo non urlare a squarciagola la passione, che nutriamo per quei campioni idolatrati e prezzolati, che sono – ahinoi – causa più di dispiaceri, che di gioie autentiche. 

Rosario Pesce

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