Il diritto di contare. Sembra che la cinematografia americana abbia voglia di guardarsi indietro nella storia e nella società. Dopo Jackiee la rilettura dell’assassinio di JFK, anche Il diritto di contare, torna agli anni sessanta e ci racconta, con molto ritardo, la vera storia di Katherine Johnson, Dorothy Vaughn e Mary Jackson, tre scienziate afro-americane che hanno rivoluzionato gli studi alla NASA. Il film ha ottenuto 3 candidature ai Premi Oscar, 3 candidature ai Golden Globes e 1 candidatura ai BAFTA. Titolo originario è figure nascosteed effettivamente si tratta della storia di tre donne di colore, esperte di calcolo, la cui funzione all’interno della Nasa si rivelò fondamentale per la realizzazione dei primi voli nello spazio tra il 1961 e il 1969, ma la cui affermazione non fu affatto facile in un contesto di supremazia bianca e maschile.
La trama
La situazione sociale dell’epoca in Virginia e la presenza di forme di intolleranza razzista la vediamo, nel film, attraverso brevi flash di interventi di Martin Luther King alla tv o del Presidente Kennedy, o di manifestazioni di protesta. L’apartheid è nelle scuole, nelle biblioteche, nei luoghi pubblici.
Dentro la Nasa invece è evidente nella struttura stessa delle aree degli edifici: da una parte il blocco di costruzione dove lavorano gli ingegneri bianchi, al capo opposto un fabbricato nel quale vi è un settore di calcolo manuale affidato a donne di colore (i computer non sono ancora attivi). Bagni separati, mense separate, persino macchine del caffè separate! Sembra assurdo, ma il luogo più evoluto scientificamente e tecnologicamente dell’America conteneva in sé pregiudizi e divisioni sociali. Tra gli ingegneri bianchi però manca un matematico geometrico e Katherine è una matematica dotata di una genialità innata. Viene convocata nell’area di progettazione del volo spaziale, dove viene accolta con grande diffidenza, non solo per il colore della pelle, ma anche perché è una donna superiore per competenza a molti uomini bianchi.
La sua capacità di calcolo si rivelerà essenziale per il superamento delle difficoltà di misurazione delle orbite della navicella spaziale. Il capo della progettazione, Al Harrison (Kevin Costner), ne riconosce le eccellenti qualità ammettendola via via a livelli sempre più elevati di rango scientifico. Sarà lui ad abbattere le barriere imposte dall’apartheid interna (bagni uguali per tutti e macchine del caffè). Dorothy invece dirige l’ufficio di calcolo manuale e quando scopre che un grande calcolatore IBM prenderà il suo posto e quello delle sue compagne decide di impararne il funzionamento, cosicché sarà proprio lei ed il suo gruppo a rendere operativa la macchina; infine Mary che per accedere ai ranghi ingegneristici aerospaziali deve conseguire un ulteriore livello di studi che le è negato perché la scuola non consente l’accesso ad una donna di colore. Dovrà fare un ricorso e riuscirà a convincere il giudice di concederle l’ammissione: diventerà il primo ingegnere spaziale aroamericano donna.
Così, quando il 20 febbraio 1962, da Cape Canaveral, John Glenn sarà il primo americano a entrare in orbita attorno alla terra per 3 volte – dopo il russo Gagarin e un anno prima che i sovietici mandino nello spazio una donna – sarà proprio Glenn, non fidandosi del nuovissimo calcolatore IBM, a chiedere che la traiettoria sia controllata «da quella ragazza intelligente» (Katherine).
Insomma le tre ragazze ce la faranno nella vita e nel lavoro. E finalmente,con il presidente Lindon Johnson nel 1964, dopo una dura battaglia fu approvata la legge che eliminava la segregazione ovunquee l’anno dopo quella che concedeva senza restrizioni il voto ai neri.Katherine Johnson, fisica e matematica, oggi è ancora in vita ed ha 98 anni; Dorothy Vaughan, matematica e manager è morta nel 2008 e Mary Jackson, matematica ed ingegnere, è morta nel 2005. Questo film merita di essere visto perché è un pezzo di storia di cui essere fieri tutti.
A cura di Bianca Maria Palladino