Nasce la Sinistra Italiana alternativa al renzismo

Vorrei, innanzitutto, ringraziare Sel, in particolare Niki Vendola e fare gli auguri alla sua mamma, Nicola Fratoianni, il coordinatore nazionale, Arturo Scotto, presidente del gruppo alla camera e Loredana De Petris, Presidente del gruppo al Senato. Senza la lungimiranza e la generosità di Sel non saremmo qui oggi. Siamo in tempi difficili e sono rari gli atti di bella politica.

La scelta di costruire un gruppo parlamentare unito non è un gioco di palazzo. La scelta non è soltanto strumentale, ossia finalizzata a migliorare l’efficacia delle battaglie in aula, nei passaggi cruciali dei prossimi mesi sulla Legge di Stabilità e sulla revisione costituzionale. Certo, è anche strumentale. Ma è, innanzitutto, una scelta strategica per segnare una tappa fondamentale e fondativa di un progetto politico. Non è la prima tappa perché è un anno e mezzo che condividiamo, nel merito, posizioni e voti sulle misure distintive del Governo Renzi per tentare di frenare l’offensiva di svalutazione del lavoro e di svuotamento della democrazia. Non è la prima tappa perché il percorso è già largamente avviato fuori dalle istituzioni della rappresentanza. Infine, non è la prima tappa perché in questi mesi abbiamo anche lavorato insieme ai partiti della sinistra non presenti in Parlamento e insieme a reti di movimenti per aprire, a metà gennaio, la fase costituente di un partito coinvolgente, innovativo, unitario, per la rappresentanza dell’universo dei lavori, per il welfare inclusivo e sostenibile, per la scuola pubblica, per la ricostruzione morale e intellettuale della politica. Ieri, nella sua quotidiana vignetta sulla prima pagina del Manifesto, il grande Mauro Biani di fronte alla notizia di costituzione del gruppo parlamentare della sinistra faceva chiedere al suo composto interlocutore: “Ma la sinistra lo sa?”. La risposta è: Si, la sinistra lo sa. Lo sa, anzi, ci ha chiesto in questi mesi di fare un salto di qualità anche sul terreno dell’unità e dell’apertura di una fase costituente.
La scelta di costruire un gruppo parlamentare unito è, per noi, pratica di democrazia costituzionale. “Democrazia costituzionale” è il nome del coordinamento per il No al referendum costituzionale del prossimo autunno. Siamo con loro e li ringraziamo.
Noi, con il nostro gruppo di Camera e Senato, vogliamo essere “terminale sociale”, come ha efficacemente scritto Stefano Rodotà su La Repubblica qualche giorno fa. Vogliamo essere un terminale sociale, intelligente e attivo, senza subalternità, orientati a inserire ogni rivendicazione specifica nella nostra declinazione dell’interesse generale. La nostra idea di democrazia riconosce la funzione propria dei rappresentanze economiche e sociali. Vive secondo il principio della sussidiarietà.
Ci hanno accusato in questi giorni – e mi dispiace, lo dico con affetto, anche per le parole di Bersani. Ci hanno detto dal PD “così fate il gioco della destra”. No. Non è così. Il gioco della destra lo fa chi fa la destra: con il Jobs Act, con la scuola pubblica, con l’Italicum, con la revisione del Senato, con lo “Sblocca Italia”, con la Rai, con la Legge di Stabilità.
Siamo “Sinistra Italiana”. Abbiamo scelto un nome che rivendica una collocazione di campo esplicita. Perché un partito, in qualunque dimensione, è sempre parte. Anche quando si presenta come partito pigliatutto. Anche quando si proietta come Partito della Nazione. Anche quando si propone oltre la distinzione tra sinistra e destra. Quando si cerca di nascondere la parzialità si è sempre portatori degli interessi dei più forti. Nelle forme proprie e inedite del XXI Secolo, destra e sinistra continuano a esistere. Noi rigettiamo la divisione del campo politico tra “sistema” e “antisistema”. È una divisione incompatibile con la declinazione costituzionale della democrazia. È una divisione che alimenta e si nutre di trasformismo. È una divisione che soffoca la democrazia, nega la distinzione tra gli interessi economici e sociali, condanna il lavoro alla subalternità. Noi vogliamo smascherare la presunta neutralità del cambiamento e portare alla luce il suo immanente segno politico: progressivo regressivo.
Noi scegliamo di chiamarci sinistra perché la democrazia è rappresentanza, conflitto e compromesso tra interessi distinti, divergenti, autonomi. Innanzitutto, non soltanto ma innanzitutto, l’interesse di chi vende la sua capacità di lavoro sul mercato e chi compra e organizza il lavoro o controlla chi compra e organizza il lavoro. Noi siamo di parte. Stiamo dalla parte del lavoro: del lavoro nelle mille forme di subordinazione, di debole autonomia, di precarietà e di sfruttamento nelle quali oggi vive; del lavoro di chi il lavoro non riesce a trovarlo o lo ha perso; del lavoro di chi ha lavorato una vita e viene “scartato”, senza lavoro e senza pensione oppure è costretto a sopravvivere con una pensione sempre più corta. Sentiamo una connessione sentimentale profonda con la dottrina sociale della Chiesa riproposta dalle parole di Papa Francesco sulla “globalizzazione dell’indifferenza”, sulla “cultura dello scarto”, sulla “dignità del lavoro”.
Noi siamo partigiani del lavoro, in una fase segnata dal tentativo di tanti di de-politicizzare la politica, dopo essere quasi riusciti a de-politicizzare l’economia. Oltre a proporre come neutro e oggettivo il cambiamento necessario all’Italia, da Palazzo Chigi ora tentano di de-politicizzare le amministrazioni comunali. I comuni devono attappare le buche attraverso gare trasparenti. Sono fuori dalla dialettica destra-sinistra, come dice un rampollo dell’aristocrazia economica romana, trasversale frequentatore di variopinti salotti e aspirante sindaco della Capitale. Manager di grandi eventi pubblici o eredi di grandi imprese private sono i migliori amministratori, dopo i prefetti naturalmente. No. Oggi le città sono il luogo a più elevato potenziale politico. Oggi le città sono l’epicentro della ricostruzione della partecipazione democratica e del conflitto per la giustizia sociale e lo sviluppo sostenibile.
Noi scegliamo di qualificare il sostantivo sinistra con l’aggettivo “italiana” perché decliniamo, in linea con le migliori culture costituzionali della nostra storia, l’interesse di parte in una visione generale, in una lettura dell’interesse nazionale. La visione esplicita o implicita dell’interesse nazionale è costitutiva dell’identità e del programma di una forza politica. È una qualificazione decisiva in una fase storica dove va ridefinita e rifondata la relazione tra interesse nazionale e dimensione europea a partire dal regime insostenibile della moneta unica. L’europeismo retorico ci porta fuori strada. Ci consegna all’irrilevanza politica.
Abbiamo scelto di avviare i gruppi parlamentari di “Sinistra Italiana” in corrispondenza della discussione del Disegno di Legge di Stabilità per la rilevanza del merito. Certo, la manovra di bilancio è un passaggio decisivo per l’Italia: sia sul versante economico e sociale, sia sul versante politico. Tuttavia, rileva in primis una ragione di metodo: per accumulare credibilità politica come forza di sinistra di governo non si può confidare nell’autocertificazione. È necessaro specificare cosa si intende fare e con coerenza fare. Attraverso i nostri emendamenti al Disegno di Legge di Stabilità vogliamo dire chi siamo e cosa vogliamo fare.
La Legge di Stabilità per il 2016 è sinergica al Partito della Nazione. Non è una ricostruzione tendenziosa: il Presidente del Consiglio, qualche giorno fa ha affermato che lui, cito, “attua il programma che Berlusconi non è riuscito a attuare”. Sul terreno economico e sociale è un insieme di provvedimenti iniqui e recessivi per l’economia reale. Ha un segno elettorale e un impianto coerente, convintamente coerente, con l’insostenibile agenda liberista dominante nell’eurozona. Allarga le disuguaglianze, impoverisce il welfare, in particolare la Sanità oramai sempre più lontana da servizio universale e sempre più vicina a privilegio di censo. Abbandona il Mezzogiorno.
Non vado avanti con i rilievi critici. Abbiamo cultura di governo. Mi concentro sulla nostra impostazione radicalmente alternativa e sulle nostre principali proposte emendamentive.
Noi proponiamo un “Piano per il Lavoro” da portare avanti attraverso una coalizione di interessi economici e sociali per la riqualificazione e il rilancio della domanda interna. Il principio di fondo è il sostegno alla domanda aggregata, non all’offerta, com’è invece nella politica economica dell’eurozona. Interpretiamo una cultura keynesiana, alternativa al neo-liberismo da “Happy Days” del Segretario del Pd. Ringrazio Giorgio La Malfa qui con noi oggi per l’avvincente sintesi del pensiero di Keynes appena pubblicata per Feltrinelli.
Puntiamo agli investimenti produttivi spinti dall’intervento pubblico. In particolare, investimenti per il trasporto pubblico sostenibile, quindi treni per i pendolari e autobus. In particolare, investimenti dei Comuni in piccole opere immediatamente cantierabili contro il dissesto idrogeologico, per la messa in sicurezza delle scuole e degli ospedali, per la rigenerazione delle periferie. Il 45% della spesa per gli investimenti lo vincoliamo al Mezzogiorno, anche attraverso interventi sostitutivi delle amministrazioni inadeguate.
Cancelliamo la Tasi per quasi il 90% delle famiglie. Recuperiamo, rispetto all’intervento del governo, 1,5 di euro all’anno, poiché il top 10% dei contribuenti versa oltre 1/3 del gettito totale. Dedichiamo le risorse recuperate a un programma straordinario di contrasto alla povertà e inserimento al lavoro e finanziamento della settima salvaguardia completa dei lavoratori e lavoratrici “esodati”. È immorale regalare migliaia di euro all’anno a chi vive in case lussuose e milionarie e lasciare senza nulla chi non ha nulla.
Proponiamo un programma di politiche industriali (in senso lato al fine di includere anche i servizi e l’agro-industria) da affidare al Fondo Strategico o al Fondo di turn-over della Cassa Depositi e Prestiti in intesa con le aziende.
Vogliamo introdurre un Fondo per la redistribuzione dei tempi di lavoro per: l’anticipo del pensionamento dei lavoratori e lavoratrici impegnati in attività usuranti; il part-time pensionistico e l’ingresso part-time di giovani al lavoro; i contratti di solidarietà difensivi e, sopratutto, espansivi; il finanziamento dei congedi parentali.
Intendiamo ridurre la contribuzione previdenziale per le Partite IVA iscritte alla gestione separata INPS per portarla al livello dei lavoratori autonomi e allargare l’accesso al regime forfettario dei contribuenti minimi.
Cerchiamo di ridurre i danni sula scuola pubblica determinati dalla Legge approvata prima dell’estate attraverso una revisione della normativa sulle supplenze per evitare l’insostenibile distribuzione degli alunni delle classi scoperte nelle altri classi.
Proponiamo di portare avanti la spending review ma, contrariamente alla linea del Governo, i risparmi raggiungibili grazie a maggiore efficienza e eliminazione di corruzione, li riallochiamo su programmi di spesa carenti, colpiti dai tagli orizzontali degli scorsi anni: Sanità, Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università; servizi sociali dei Comuni; diritto allo studio; salvaguardia e promozione del patrimonio storico-artistico; riduzione dei costi energia per famiglia e imprese e alla accelerazione degli obiettivi della roadmap 2050 nel quadro di un aggiornamento della Strategia Energetica Nazionale; potenziamento dell’ Agenzia per la Coesione Territoriale.
Finanziamo gli emendamenti attraverso specifiche, precise, quantificabili misure anti-evasione, a completamento del ripristino del limite del contante a 1000 euro.
Le proposte sono dettagliate nei documenti che trovate sui nostri siti e a breve sul sito di “sinistra italiana.it”.
Le proposte saranno al centro di una campagna di iniziative che nelle prossime quattro settimane porteremo in tutte le città.
Chiudo.
Oggi segniamo una tappa decisiva del nostro percorso. È un cammino impervio, controcorrente. Ma è un cammino necessario per un’Italia giusta. Insieme, insieme le energie presenti dentro e fuori il Parlamento e le altre istituzioni di rappresentanza, insieme possiamo ridare sostanza all’art 1 della nostra costituzione: “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

Stefano Fassina