Se Renzi non partecipa alla campagna elettorale del PD

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È evidente che Renzi, impegnato nelle faccende romane, non sta partecipando alla campagna elettorale per le elezioni regionali del prossimo 31 maggio, almeno in forma diretta.
Infatti, i suoi incontri di natura elettorale saranno ridotti all’osso, allo scopo di distinguere, in modo chiaro e netto, le sorti del Governo da quelle delle Giunte regionali, per le quali si voterà.
Molto spesso, infatti, le elezioni regionali hanno avuto un significato politico forte, visto che si sono svolte, per lo più, a metà legislatura, per cui hanno acquisito la valenza di un test di medio termine, come si dice con un linguaggio tratto dalla cultura anglosassone.

Nessuno può dimenticare, ad esempio, quanto care siano costate le elezioni regionali del 2000 a Massimo D’Alema, che, dopo una pesante sconfitta, fu costretto a lasciare Palazzo Chigi, decretando così la fine dell’esperienza del suo Dicastero, che era nato dopo la crisi di quello retto da Prodi. Questa volta, si vota in sette regioni: se l’esito appare scontato in quattro, esso è invece assai incerto in ben tre realtà importanti del Paese, fra le quali annoveriamo la Campania, la Liguria ed il Veneto.

La battaglia più interessante è quella che si svolge al di sotto del Garigliano: se fino a qualche mese fa appariva scontato il crollo del Governatore uscente Stefano Caldoro, oggi la situazione è ben diversa, visto che il candidato del PD, l’ex-Sindaco di Salerno De Luca, è caduto in alcuni errori tragici, evidenziati viepiù dalla stampa nazionale, che ineluttabilmente gli hanno fatto perdere consenso, come quelli relativi alla candidatura di talune personalità molto chiacchierate, in particolare, dell’area napoletana e casertana ed all’alleanza con Ciriaco De Mita, che invero – nel giro di pochi giorni – si è trasformata in un vero e proprio boomerang mediatico.

Renzi, parlando della Campania, ha insolitamente lodato entrambi gli sfidanti, sia Caldoro per la grande collaborazione istituzionale prestata al Governo, sia De Luca, per le sue note virtù di amministratore locale. Atteggiamento, questo, assai insolito, visto che il Premier, nonché Segretario Nazionale del PD, avrebbe dovuto sostenere con altri toni la candidatura dell’ex-primo cittadino salernitano.

Con la sua equidistanza fra i due candidati, invece Renzi ha voluto allontanare da sé lo spettro del dato campano, per cui chiunque dovesse vincere, comunque il Presidente del Consiglio non potrebbe essere tacciato di sconfitta. Diverso, invece, è stato il suo atteggiamento in Liguria ed in Veneto, dove ha fortemente voluto la candidatura, rispettivamente, della Paita e della Moretti, per cui, qualora il suo investimento elettorale dovesse dimostrarsi fallace, non potrebbe fingere di essere stato distante, così come ha fatto con le vicende campane.

L’attuale momento è, invero, il peggiore per Renzi, visto che le forzature, che egli ha operato in sede di approvazione della legge elettorale e del ddl in merito alla cosiddetta “Buona Scuola”, non solo gli hanno alienato le simpatie residue della minoranza del PD, ma soprattutto gli hanno portato un grave nocumento in termini di popolarità, per cui interi settori della pubblica opinione, da sempre vicini al suo partito, sono ora lontanissimi dal PD e si dichiarano pronti a votare contro i candidati renziani nelle varie regioni, come accade per i vilipesi e mortificati docenti della scuola pubblica, che, dopo lo sciopero del 5 maggio, ormai puntano alla sconfitta renziana per impallinare il disegno di legge di riforma dell’Istruzione statale.

I sondaggi parlano chiaro: il PD, a stento, raggiunge il 30% del gradimento del campione intervistato, a fronte del 41% della scorsa primavera, quando si votò per le Europee.
Un siffatto dato evidenzia l’emorragia di consensi, che, nel corso di questi mesi, Renzi ha subito a causa del suo atteggiamento provocatorio, che, se gli porta voti da ambienti di Destra, gliene fa perdere, ineluttabilmente, moltissimi altri in quelli di Sinistra, dove dovrebbe avere, invece, ben altro radicamento.
Cosa succederà il 1 giugno, dopo la pubblicazione degli esiti delle Regionali 2015?; Renzi dovrà ammettere di aver sbagliato e dovrà chiedere scusa a quanti lo hanno, giustamente, avversato per i suoi orientamenti, manifestamente, contrari alla tradizione della Sinistra italiana?; Forse, avrà la capacità di riversare sui candidati locali la responsabilità dell’eventuale sconfitta, distinguendo così le sorti sue da quelle di De Luca, Paita e Moretti?

Crediamo, in verità, che sarà molto difficile, in caso di non-vittoria, riuscire a scaricare su altri le colpe del fallimento, visto che il voto regionale si colora di una sfumatura pro o contro il Governo in carica, per cui, qualora dovesse effettivamente perdere nelle tre regioni, che costituiscono la cartina di tornasole della consultazione di maggio, sarebbe giusto e ragionevole pensare non solo ad un’inversione di marcia, ma anche ad un ripensamento totale di politiche tanto scellerate, quanto improponibili in assenza del consenso di coloro che – in qualità di utenti ed operatori – sono i principali protagonisti della loro attuazione concreta. Forse, gli Italiani, come lo hanno incoronato nel maggio scorso, così altrettanto rapidamente il prossimo 31 maggio disarcioneranno Renzi, per aprire una nuova stagione parlamentare, all’insegna del dialogo sociale e del confronto democratico?

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