La storia di Francesco, bimbo autistico di otto anni rifiutato dalla sua scuola è un fallimento, l’ennesimo fallimento della scuola italiana, una doccia fredda per chi ogni giorno lavora per le politiche d’inclusione ed integrazione, una storia che racconta il rifiuto da parte di un sistema scolastico mal funzionante e poco attento, che ignora e strappa il valore dell’integrazione ,che mostra arretratezza e ritardo rispetto ai bisogni individuali. La storia del piccolo di Milano è soltanto una delle tante storie , molto vicine a noi e che vanno raccontate. Simbolo di una sconfitta questa storia riporta l’attenzione verso un sistema scolastico che oggi sembra più sollecitare una riflessione sul destino dei precari, sulle assunzioni e sulla fine che faranno gli insegnanti di sostegno nei prossimi anni , sulle loro ore di insegnamento (sempre troppo ridotte), piuttosto che sui problemi reali che si vivono per favorire l’inserimento degli alunni con problematiche.
Rileggere invece la storia di Elia ci fa pensare che esistono anche delle vite che cambiano, degli esempi di scuola italiana che ci piacciono e che fanno onore al percorso dell’inclusione. Elia è un ragazzino che grazie ai risultati ottenuti dal lavoro svolto brillantemente tra gli insegnanti curriculari e di sostegno ha deciso insieme alla sua famiglia di interrompere questo percorso di supporto, ottenendone benefici, il racconto è necessario per riscoprire il valore dell’integrazione , quell’ integrazione che dona dignità, soggettività, capacità di cambiamento, possibilità di sollecitare delle situazioni ritenute statiche e piene di sofferenza, nonostante la storia di Francesco non ne sia un buon esempio. La cronaca però parla spesso di un cammino difficile per gli studenti con problematiche, dove soltanto la parola disabilità mette paura e nonostante i tanti e buoni propositi si è spesso di fronte ad una vera e propria “emergenza educativa” in cui gli insegnanti di sostegno, sovra-caricati, affrontano come meglio possono la sfida, diventando dei mediatori pronti a creare ambienti scolastici flessibili ed inclusivi, ma non basta, perchè a volte non possono o non riescono. Si aggiunga poi che le insegnanti curricolari non hanno sempre la possibilità fisica e materiale di gestire una classe di trenta bambini, non hanno capacità e governabilità su di loro, sfuggono elementi , il tempo da poter dedicare ad allievi che mostrano irrequietezza o chiusura è sempre meno. A tal proposito ha fatto rumore negli ultimi giorni il video di una maestra che ha filmato l’attacco isterico di un allievo, un video mostrato a tutti per far emergere anche una situazione divenuta insostenibile, l’insegnante lasciata sola a compiere un lavoro di “controllo” che inevitabilmente apporta un’usura mentale e fisica e una resa dei conti con le istituzioni. Racchiudere queste storie in un’unica visione ideologica non è certo la strada da percorrere , ricordare invece che in una classe gli allievi svantaggiati non sono una “ zavorra” bensì una risorsa è forse più opportuno per insistere su quel concetto d’integrazione che non corrisponde al puro inserimento. È necessario l’impegno di tutti, il punto di partenza è cambiare la percezione culturale che la maggior parte di noi ha sulla condizione di disabilità , indignarsi perché in Campania 1500 disabili vengano sbattuti fuori dalle strutture che li accoglievano..( protesta 21 gennaio 2015).