Quirinale: se Renzi si incarta.

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È evidente che la vicenda quirinalizia possa riservare qualche sorpresa, anche facilmente prevedibile.
Renzi, infatti, ha iniziato il tour di incontri con le altre delegazioni dei partiti presenti in Parlamento, allo scopo di giungere all’indicazione di un nome condiviso, almeno per la quarta votazione, quando sarà necessario il quorum della maggioranza semplice per eleggere il Capo dello Stato.
Orbene, egli ha ricevuto un “niet” esplicito dalla delegazione di Alfano e Casini, che ha espressamente fatto riferimento all’opportunità che il successore di Napolitano abbia un curriculum istituzionale di buon rilievo, escludendo dunque, a-priori, i Ministri del Governo in carica, che sono tutti al primo incarico di un certo prestigio, ad eccezione di Gentiloni, che – comunque – neanche rientra nel prototipo disegnato dall’area centrista.
Pertanto, il Premier ha subìto il primo dissenso circa l’indicazione, che sta per fare: voci di dentro, non smentite, hanno esplicitamente indicato in Delrio il nominativo, che è a cuore al Presidente del Consiglio, visto che il profilo del Sottosegretario di Palazzo Chigi è esaustivo per chi, stando a capo dell’Esecutivo, non intende avere intralci dal futuro inquilino del Quirinale.

Quindi, esclusa in partenza l’opzione di un tecnico, quale poteva essere il Ministro del Tesoro, è ovvio che Renzi debba virare su una personalità importante, che sia stata magari a capo o del Governo o del PD negli anni della Seconda Repubblica.
I nomi, a questo punto, iniziano a restringersi sensibilmente in numero, visto che, fra gli ex-Segretari dei DS, potrebbero essere presi in considerazione Fassino o Veltroni, mentre, fra gli ex-Premier, Monti e Prodi, dal momento che riteniamo fuori gioco D’Alema, che invero non ha i favori dell’attuale leader democratico.
In tale rosa, però, le spine sono maggiori dei petali: infatti, gli ex-comunisti Fassino e Veltroni non sono ben visti dall’intero partito, in primis da chi ha condiviso, con loro, il comune percorso nell’ex-PCI, mentre Monti e Prodi appaiono personalità fin troppo autonome, che in verità non si limiterebbero mai a fare gli scendiletto del Premier o, peggio ancora, mai sarebbero passivamente prodighi agli interessi di Mediaset, la cui tutela verrebbe imposta loro da Berlusconi, qualora il Cavaliere ne fosse – finanche, solo per mera eventualità – lo sponsor dell’elezione.
Inoltre, non può sfuggire che l’intero scacchiere parlamentare è in movimento.
L’uscita odierna di altri dieci deputati ex-grillini favorisce il lavoro del Governo, ma – certo – fa sì che la minoranza del PD, a maggior ragione, non desista dai suoi propositi, visto che ha capito che i nuovi arrivati dal gruppo M5S servono a sostituire i parlamentari della Sinistra democratica, che dovessero uscire dal partito, a breve.
Il dubbio maggiore, però, permane in merito al comportamento dei Cinque Stelle, dato che, nonostante l’emorragia di deputati e senatori, che ha subìto in queste settimane, il partito di Grillo, in caso di convergenza con la Sinistra civatiana e con Sel, avrebbe i numeri per imporre a Renzi una virata, perché – pur non potendo, da sole, eleggere il Capo di Stato – queste tre forze possono, evidentemente, favorire l’avvio di un processo, che il Premier non potrebbe non prendere in considerazione.
Ma, Grillo avrà l’intelligenza per interloquire con Civati, Vendola, Cuperlo, Bersani, allo scopo di impallinare il Patto del Nazareno ed evitare, dunque, che il futuro Presidente della Repubblica sia, solo, espressione di quella famigerata alleanza?
Speriamo, vivamente, per il bene della nostra democrazia, che il massimo garante delle istituzioni repubblicane, nei prossimi sette anni, sia la sintesi di una platea effettivamente amplia, dato che, indipendentemente dai contenuti, ancora sconosciuti nella loro totalità, il Patto del Nazareno può, assai legittimamente, esprimere una maggioranza di Governo – che gli elettori, poi, confermeranno o abbatteranno – ma due forze (il PD renziano e la parte berlusconiana di Forza Italia), rappresentative di meno della metà della pubblica opinione nazionale, non possono mettere le mani sul più importante Colle della politica nazionale, lasciando fuori dagli accordi tutte le altre formazioni, che rappresentano – anche se in modo frammentato – gli orientamenti della stragrande maggioranza dei nostri concittadini.

Rosario Pesce

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