Il 1 Maggio nasceva come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, né tanto meno sociali, per affermare i propri diritti, per raggiungere obiettivi, per migliorare la propria condizione.
“Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire” fu la parola d’ordine, coniata in Australia nel 1855, e condivisa da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento.
Il primo Maggio giorno in cui tutti i lavoratori esercitano l’affermazione della propria autonomia e indipendenza. Ma cosa resta del 1 Maggio? Slogan vuoti, di difesa dei lavoratori senza “Lavoro”, il 55% di giovani laureati senza alcun contratto, il 60% di italiani che si barricano in fabbrica ,per non farla chiudere definitivamente. L’era della delocalizzazione, l’era della precarietà, l’era del vuoto istituzionale.
Primo maggio per chi? Primo maggio dei privilegiati che hanno avuto un lavoro durante il boom economico, 1 maggio dei pensionati costretti a diventare un ammortizzatore sociale per i giovani “mantenuti a casa”. 1 maggio di casta, primo maggio rivoluzioni sta.Eppure duecento anni fa il primo maggio era una festa: “Lavoratori – si legge in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 – ricordatevi il 1 maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l’Internazionale!”
Oggi i lavoratori, non fanno festa sono solidali all’imprenditore soffocato dalle tasse, insieme per sopravvivere alla crisi. Ritornare alle politiche attive di lavoro, non solo il primo maggio ma tutto l’anno, non basta una festa, “ ma ridare dignità al lavoratore.”