Sei anni fa, moriva Sandro Curzi, uno dei più grandi giornalisti italiani, il quale ebbe meriti professionali straordinari, visto che a lui si deve la nascita di due realtà televisive importantissime: il Tg3 e la trasmissione Samarcanda, guidata da Michele Santoro, ma ispirata dal giornalista romano.
Egli non nascondeva le sue origini comuniste, visto che aveva militato nelle frange della Resistenza e, negli anni successivi alla Liberazione, era stato protagonista della vita interna al PCI, mettendosi in evidenza per la sua autonomia di pensiero, la stessa che dimostrò, quando ebbe l’incarico di dirigere il telegiornale della Rete che, nella spartizione della Rai, era stata affidata al Partito delle Botteghe Oscure, dato che il Tg1 era in quota Dc, mentre il Tg2 era stato assegnato ai Socialisti.
Naturalmente, quell’incarico di direzione non era per nulla agevole, dal momento che egli si trovava a dare voce alla minoranza presente, in quel momento, nel Parlamento italiano; non a caso, ben presto il Tg3 venne apostrofato, con un appellativo dispregiativo, come la nuova “Telekabul”, perché, in occasione della Guerra che si svolgeva in Afghanistan, quel telegiornale prese la difesa delle truppe afghane.
Ma, fu un’altra guerra a mettere in rilievo l’autonomia di giudizio di Curzi; infatti, quando nell’autunno del 1990 scoppiò la Prima Guerra del Golfo, egli ebbe il coraggio di schierarsi contro quanti pensavano, in Italia, che fosse opportuno e lecito partecipare a quel conflitto, per cui, con grande maestrìa, spiegò agli Italiani le motivazioni occulte di una guerra, nel quale era molto difficile capire chi avesse ragione.
Mentre le altre Reti della Rai spiegavano, infatti, che la partecipazione fosse doverosa, per cui venivano illustrate dettagliatamente le operazioni belliche, condotte in territorio iracheno, Curzi con i suoi editoriali, nel corso delle edizioni delle ore 19, descriveva in modo analitico quale fosse la componente meramente economica, che spingeva l’Occidente ad aggredire Saddam, dopoché questi, per molti anni, era stato il principale alleato occidentale contro il regime iraniano degli ayatollah.
Così, capimmo come la politica estera degli Stati Uniti non fosse sempre lineare e, soprattutto, presentasse dei punti oscuri, poi emersi puntualmente, visto che la Prima Guerra non rimase un episodio isolato, ma successivamente, a distanza di più di un decennio circa, seguì il secondo intervento militare occidentale, con l’uccisione del raìs di Baghdad.
Era difficile seguire il pensiero di Curzi per diversi aspetti: innanzitutto, egli lanciava un prodotto giornalistico, come il Tg3, che veniva messo in onda alle 19, in una fascia oraria, dunque, poco incline per il grande ascolto, che storicamente nel nostro Paese si realizza alle 20.
Inoltre, essendo il suo giornale molto caratterizzato da un punto di vista politico ed ideologico, correva il rischio di apparire appannaggio di una mera nicchia, la quale poteva, al più, essere rappresentata da chi si identificava nelle posizioni del PCI.
Ricordo bene che, in quegli anni, molti di noi, giovani studenti liceali – anche non comunisti – alla ricerca di una verità, che fosse autenticamente tale, benché eterodossa, ci innamorammo del modo di fare giornalismo del direttore del Tg3, per cui il suo tg divenne un appuntamento fisso, da far coincidere, magari, con la pausa nel corso dell’attività pomeridiana di studio.
Così, potemmo aprirci ad un punto di vista diverso, avendo quindi le informazioni necessarie per distinguere fra la versione dei telegiornali filogovernativi e quella del tg, che si riconosceva nell’opposizione di allora.
D’altronde, la sua indipendenza portò Curzi ad essere ben lungi, finanche, da Botteghe Oscure, per cui, quando il PCI si sciolse, divenendo PDS, egli ospitò sia quanti erano favorevoli al cambiamento, sia coloro che erano nostalgici della vecchia bandiera e dei simboli del passato, palesando così l’autonomia della direzione del Tg3 da qualsiasi ordine di scuderia, che potesse essere impartito dai vertici della più grande formazione della Sinistra.
Grazie a Curzi ed alla sua testata, abbiamo avuto modo di ascoltare, per la prima volta, le ragioni dei metalmeccanici, che rivendicavano i loro diritti, così come fu data voce al movimento studentesco, che riprese vigore nei primi anni Novanta.
La sua parabola professionale, in Rai, terminò mestamente nel 1994, quando, cioè, egli si trovò in conflitto con i cosiddetti Professori, che assunsero la guida della Televisione di Stato, dopo la caduta del Governo Berlusconi.
Da quel momento in poi, cominciò per lui il peregrinare, da una testata all’altra, per trovare ospitalità; in tale attività, egli ebbe un compagno di sventura, con il quale forse non avrebbe mai immaginato di condividere la sorte professionale: Indro Montanelli, appena mandato via da Il Giornale, perché aveva osato ribellarsi ai diktat del Cavaliere.
Così, due uomini, che si riconoscevano in ideologie profondamente diverse l’uno dall’altro, si trovarono ad essere dei disoccupati di lusso nell’Italia, che stava per iniziare la sua perigliosa navigazione nel ventennio gramo della Seconda Repubblica.
Forse, anche in virtù di intelligenze di tal livello, non possiamo non rimpiangere un periodo d’oro così del Paese, come della nostra formazione culturale, nel corso del quale abbiamo avuto modo di apprezzare chi ha fatto del dialogo lo strumento di crescita individuale e di un’intera comunità, a cui ora mancano, invece, saldi punti di riferimento culturali, come potevano essere Curzi e Montanelli, rispettivamente, per la Sinistra e la Destra.
Rosario Pesce