Le stragi in Europa e la guerra in Siria: quando i morti non hanno lo stesso valore

Dal 2012, anno in cui il conflitto in Siria è divenuto guerra civile, tutto il mondo è venuto a conoscenza del grande nemico jihadista: l’Isis; data la posizione strategica dello stato, i suoi legami internazionali ed il perpetrarsi della guerra, non solo i paesi confinanti, ma l’intera comunità internazionale, è stata coinvolta a più riprese, ed in diverse maniere, nel conflitto.
Fin qui tutti possiamo affermare di conoscere il fenomeno.

Ciò che non tutti conoscono, forse, sono i dati della guerra:
tra il 2011 ed il 2016 il SOHR, l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, documenta 301.781 morti e ne stima, contando anche quelle non documentate, 430.000 in totale.
Secondo i dati dell’ UNHCR, poi, vi sarebbero 4.088.078 rifugiati siriani espatriati, a cui si aggiungono 7,8 milioni di siriani sfollati, ma all’interno dello stesso paese.

Noi occidentali, lontani da tutto questo, lontani dalla guerra, siamo frequentemente colpiti da quelli che potremmo definire lupi solitari dell’Isis, ammesso che tutti lo siano e che non si tratti invece di emulatori, e che le loro azioni non vengano poi sfruttate dall’Isis (e in qualche misura dai governi di tutto il mondo) per creare l’idea di un esercito clandestino.

Un’esercito che ha come patria la Siria, l’Iraq; nomi e luoghi che appaiono così vicini quando a morire sono i nostri della fortezza Europa; ma così lontani dalla nostra fortificata realtà all’esplosione di ogni singolo colpo, ogni singola bomba, in quei teatri di atrocità.

Siamo colpiti dagli uomini con l’AK-47 che entrano nella sede del giornale ed uccidono 12 persone; dai due kamikaze che si fanno saltare in aria, devastando l’aeroporto e provocando 32 morti e dall’ordigno in metropolitana che ne causò altre 3; dal camion che piomba sulla folla che festeggia la festa nazionale e uccide 86 persone; dal 18enne tedesco che nel centro commerciale uccide 16 persone e poi si toglie lui stesso la vita; dall’uomo che si fa esplodere all’ingresso del concerto, che riesce a fare 16 feriti, 4 gravi, ma nessun morto; dal tir che piomba sulla folla al mercato, uccidendo 12 persone.

Ciò che non ci colpisce, invece, sono le stragi della guerra lì dov’è realtà ogni giorno, dove ogni giorno a morire sono curdi, siriani, islamici, iracheni; militari e civili; uomini, donne, bambini e vecchi.Tutti accomunati dall’essere uomini.

Uomini come noi che riempiamo i social di frasi come ‘pray for Berlin’, ‘pray for Charlie’; noi che preghiamo per ciò che abbiamo sotto gli occhi; noi che ignoriamo ciò che i giornali, la televisione, la radio, i governi, decidono di non farci vedere.

Fabiana G.

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