Stiamo assistendo ad un vero e proprio regolamento di conti all’interno della Destra, fra la componente più oltranzista, capeggiata da Salvini e dalla Meloni, e quella moderata, che ovviamente fa capo a Berlusconi ed a quanto rimane in piedi della vecchia Forza Italia e di ciò che fu il Polo delle Libertà.
Oggetto della contesa è il primato in vista delle prossime elezioni politiche; terreno dello scontro odierno è il voto amministrativo, che funge impropriamente da “primaria” utile per decidere gli equilibri di potere in un’area, qual è appunto il Centro-Destra, che ha subito i maggiori scossoni da quando Renzi governa il Paese.
Appare a tutti un dato: oggi, questi due rassemblementi sono molto più distanti fra loro di quanto non lo fossero, quando l’egemonia berlusconiana era chiara e distinta.
Infatti, nel corso degli ultimi due anni, le posizioni si sono biforcate, per cui i parlamentari di area moderata, molto spesso, hanno strizzato l’occhio a Renzi, aiutandolo finanche in alcuni passaggi difficili, mentre quelli della Lega hanno assunto l’atteggiamento di chi fa opposizione in modo inequivocabile, senza “se” e senza “ma”, come si dice in gergo.
L’orizzonte culturale non può che essere molto differente: da una parte, ci sono i moderati, fedelmente allineati agli indirizzi dell’Unione Europea e sempre pronti a comporre Governi di Solidarietà Nazionale, qualora l’esperienza di Renzi dovesse finire da un momento all’altro; dall’altra parte, invece, ci sono leghisti ed ex-fascisti, che si sono molto caratterizzati per le battaglie contro l’Unione Europea ed, in modo particolare, contro la gestione che è stata fatta dei flussi migratori, con conseguenze anche rilevanti, visto che lo spostamento di consensi, da una parte all’altra, sembra più che evidente. È chiaro che un simile contrasto fra una Destra europeista ed una xenofoba ed anti-europeista si inserisce in un vasto quadro continentale, che sta vedendo la tracimazione progressiva dei Moderati e l’affermazione dei gruppi estremisti, che speculano molto sui bisogni delle persone sempre più povere e che alimentano il fuoco dell’odio razziale e di una lotta di classe, che sembra sempre più regredire e divenire associabile a forme di vera e propria disputa incivile, sia sul piano morale e sostanziale, che su quello giuridico-formale.
In tale contesto, l’Italia non è esclusa, vista peraltro la debolezza, che ha colpito Berlusconi a seguito delle sue ben note vicissitudini giudiziarie, che di fatto lo hanno portato ad essere emarginato dal potere ed a dover sostenere il Governo in carica, fingendo un’opposizione molto blanda ed, invero, collaborativa con il Presidente del Consiglio. Pertanto, la sfida Marchini-Meloni a Roma non si ferma ad un dato meramente amministrativo, ma significa molto di più: la battaglia per il Campidoglio stabilirà chi dovrà essere il candidato del Centro-Destra per Palazzo Chigi.
In particolare, in gioco sono le sorti di Salvini, che appare il principale leader dell’area anti-sistema, anche se i suoi numeri, oggi, sono molto meno favorevoli di quanto non lo fossero, solo, pochi mesi or sono. Infatti, nonostante la sua sovraesposizione mediatica, egli raccoglie consensi in forma minore di quanto non lo facesse nello scorso autunno, quando appariva, in verità, già il candidato in pectore del Centro-Destra, pronto a sfidare Renzi in occasione del prossimo voto generale. La partita romana, quindi, farà chiarezza su un dato decisivo: la Destra, che aspira a governare il Paese, è ancora compatibile con il sistema delle relazioni internazionali ovvero rappresenta una deriva populista e, marcatamente, xenofoba?
Peraltro, Renzi non potrà non essere attento ad una simile evoluzione, perché chiaramente, in caso di vittoria della linea Meloni-Salvini, egli avrà la strada spianata verso la riconferma a Palazzo Chigi, poiché un fatto ci appare certo: gli Italiani non voteranno mai per un Presidente del Consiglio che echeggia toni neo-fascisti o leghisti, profondamente beceri e contrari alla tradizione culturale di un Paese, che – anche in nome del Cattolicesimo – ha, sempre, fatto dell’accoglienza il suo principale mantra. Se, invece, dovesse vincere la linea Berlusconi-Marchini, è chiaro che il moderatismo di Destra prenderebbe di nuovo forza e Renzi dovrebbe decidere se sfidarlo o se diventarne il rappresentante più autorevole, visto che Berlusconi, Casini, Alfano, Cicchitto, Verdini, che hanno caldeggiato la nomination di Marchini, sarebbero pronti a sostenere fedelmente il Capo del Governo, qualora egli rompesse ogni legame con la Sinistra del PD e ridisegnasse i limiti di una nuova area culturale e di potere, di cui può e deve essere l’esponente più autorevole, almeno fino al vaglio elettorale della primavera del 2018.
Quindi, non possiamo affatto sottovalutare gli esiti del voto del 5 giugno, perché da quell’appuntamento deriveranno conseguenze importanti per un Paese, come il nostro, che deve ancora decidere se affidarsi ad un populismo indifferenziato e socialmente pericoloso (leghista o grillino) o, molto più docilmente, seguire la strada di quel moderatismo, che per sette decenni, sia pure con formule politiche diverse, ha consentito all’Italia di arrivare ai risultati, che oggi – nel bene e nel male – conosciamo ed apprezziamo. Unica assente è la Sinistra, che non si è ancora rifatta dalle scoppole ricevute da Renzi e dal renzismo e che sta tentando, fra mille dubbi ed incertezze, di rimettersi in corsa, sapendo bene che, nonostante tutto, se non giunge ad un compromesso con l’odierna classe dirigente del PD, rischia di scomparire dal Parlamento futuro e di non farvi rientro per moltissimi anni. In tale contesto, non possiamo che rimanere ad osservare, sapendo bene che, dalle Amministrative del 2016, prenderanno le mosse i nuovi equilibri politici generali, quelli che saranno utili a governare il Paese, almeno, per i prossimi venti anni.
Rosario Pesce