La crisi della Lega

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L’esperienza di governo del Veneto ad opera della Lega, che si sta consumando in queste ultime settimane, mette a nudo le criticità di un movimento, che, di fronte alle problematiche della gestione amministrativa e della determinazione degli indirizzi politici, sovente non è in grado di arrivare ad una soluzione condivisa al suo interno, rischiando così di mettere in serio pericolo un patrimonio elettorale che, in quelle terre, è sempre stato particolarmente copioso e, finanche, ridondante.

Analizziamo, orbene, i fatti: in Veneto, esistono due leaders, Tosi e Zaia, che si contendono da anni il controllo della Regione, partendo da posizioni istituzionali ben diverse, visto che il primo è il Sindaco della città di Verona, mentre il secondo è il Governatore uscente. Le alleanze, da mettere in piedi nel corso della prossima competizione regionale, hanno rappresentato l’elemento formale di dissidio fra i due esponenti leghisti, dato che il Governatore ha interesse a riconfermare il quadro consolidato, costituito dalla saldatura pluridecennale fra la Lega e Forza Italia, mentre il primo cittadino veronese gioca a rimettere in movimento i rapporti stratificati, recuperando le forze centriste, allo scopo di mettere in discussione il primato di Zaia ed aprire un varco per una propria candidatura.

Naturalmente, i disegni dei due autorevoli esponenti veneti si devono misurare con i progetti di Salvini, il quale, dall’alto del controllo della Lega Lombarda, può governare l’intero movimento interregionale, che si radica nel Lombardo-Veneto, per cui la determinazione del leader nazionale, volta a commissariare le Federazioni, nelle quali è in posizione di vantaggio Tosi, ha chiaramente sparigliato il gioco in favore di Zaia.

La questione, però, come si può intuire facilmente, non è solo di stretta attinenza veneta, ma afferisce agli schemi di alleanza, che si intende realizzare per l’Italia nei prossimi anni. È ben noto, infatti, che la Lega, ormai, si è sempre più costruita come un partito estremista, che riproduce tesi analoghe a quelle della Le Pen in Francia, per cui è improponibile che il movimento possa allearsi con Casini o Alfano, i cui riferimenti politici in Europa sono ben altri; è evidente, dunque, che il disegno di Tosi è in aperta contraddizione con la strategia dei dirigenti, che – al momento – rientrano nel cerchio magico di Salvini.

Alla luce di una simile riflessione, la condizione odierna della politica nazionale non può che dar ragione a Zaia, il quale deve – per motivi di opportunità – riproporre il medesimo quadro di alleanze, che ha governato il Veneto nell’ultimo quinquennio.
La partita, dunque, si è chiusa in virtù dell’accordo fra il Governatore ed il leader nazionale del movimento?
Crediamo di no, perché le ragioni di simili difficoltà vanno ricercate a monte, nella sfaldatura progressiva della leadership di Bossi, all’indomani delle indagini penali, che ne colpirono la famiglia.

Da quel momento in poi, sebbene molti – fra cui, Maroni e Salvini in primis – abbiano tentato di sostituire agli occhi dei leghisti il carisma del Senatùr, nessuno di loro è riuscito in un simile intento, per cui la partita per la successione è – tuttora – aperta, nonostante Salvini e Zaia abbiano messo a segno un colpo importante in loro favore.

Nei prossimi mesi, dopo lo svolgimento delle elezioni regionali, la querelle si riproporrà, perché – anche solo a scopo, meramente, strumentale – alcuni fra i dirigenti leghisti proporranno l’intensificazione dei rapporti con Forza Italia, mentre altri cercheranno di radicalizzare ulteriormente il movimento, tentando di conquistare per intero il campo della protesta sociale e della ribellione contro la classe politica nazionale, a guida PD. Chi vincerà?

Crediamo, invero, che la Lega non potrà non continuare lungo il percorso complesso, già avviato nei mesi scorsi, per cui Salvini intensificherà i suoi strali contro le politiche dell’immigrazione e dell’accoglienza, nell’auspicio che gli indirizzi xenofobi possano essere, elettoralmente, premianti.

In tale prospettiva, una formazione siffatta non potrà che allontanarsi, sempre più, da un modello di forza di Governo compatibile con l’ordinamento giuridico italiano e con il contesto internazionale, perché il qualunquismo e l’estremismo, inevitabilmente, costituiranno un ostacolo insormontabile per portare il Carroccio a Palazzo Chigi.

Finché gli oppositori continueranno su di un simile refrain, Renzi potrà contare su di una lunga permanenza ai vertici dell’Esecutivo, ma – frattanto – il tessuto del Paese si sarà logorato ancor di più, per cui diventerà difficile ricreare condizioni di armonia e di pace sociale fra gli Italiani. All’ombra, dunque, di guerre sotterranee fra i dirigenti leghisti, si sta giocando una partita, che definirà il grado di compatibilità della Destra con i principi democratici ed i valori sanciti dalla nostra Costituzione del 1948.

Per anni, Bossi ha sapientemente giocato lungo il filo sottilissimo, che distingue l’ordinaria polemica da posizioni prossime all’eversione dell’ordine costituzionale: forse, i suoi litigiosi eredi andranno ben oltre quel limite, valicandolo tragicamente per sé e per i destini della nazione?

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