Economia – Sono passate poche ore dalla fine dei giochi, ed il Brasile, fino a ieri simbolo della crescita prodigiosa dei paesi emergenti, e caposaldo del BRICS, riprende dolorosamente una crisi politica, economica e istituzionale senza precedenti, tanto da meritare la copertina dell’Economist titolata: “La caduta del Brasile”. Il gigante latino americano è alle prese con la più lunga recessione degli ultimi cento anni, aggravata dal più grande scandalo di corruzione della storia carioca (quello del colosso statale Petrobras), e dal crollo ai minimi storici della popolarità, prima, della Presidente Dilma Rousseff, e poi del suo successore. In questo contesto, il governo deve affrontare una situazione economica disastrosa, con un debito pubblico che supera il 70 per cento del PIL, un livello elevatissimo per un paese emergente, che comporta a sua volta un altissimo costo per finanziarlo e, nonostante la mitica “sovranità monetaria”, con la Banca Centrale che non può continuare a stampare moneta, visto che ormai l’inflazione è già in doppia cifra, a meno di non scegliere di lanciarsi nella stessa “spirale” che sta travolgendo il Venezuela. Per ripianare il deficit, anch’esso oltre il 10 per cento, dopo anni di spesa fuori controllo durante i periodi di vacche grasse, non resta che la via dell’austerity, tra l’altro in un periodo difficilissimo visto il crollo delle commodities, ovvero materie prime con quotazione internazionale, su cui fa affidamento l’economia brasiliana. La strada obbligata per il Brasile è la scelta tra due sole corsie: da un lato l’aumento delle tasse (veramente di difficile attuazione visti i dati macroeconomici), dall’altro il taglio della spesa pubblica (a rischio di una sollevazione sociale), oppure un eventuale mix, se proponibile, tra le due (forse meno indolore ma più sopportabile). Il problema attuale del “sistema paese” brasiliano, è che le tasse sono già di per se alte, con una pressione fiscale che si avvicina al 40 per cento, da considerarsi come un altissimo livello per un paese emergente. L’alternativa proposta, ovvero della riduzione della spesa pubblica, non è più semplice, non perché non ci sia da tagliare, tutt’altro, piuttosto perché è quasi impossibile tagliare. Per rassicurare i mercati, la stessa Rousseff, aveva scelto come ministro delle Finanze il “liberista” Joaquim Levy, con il compito di tagliare il deficit e la spesa, quindi miscelando le due manovre sopra citate, ma dopo un anno di tentativi infruttuosi e di scontri politici con le forze di maggioranza, l’omologo brasiliano del nostro Cottarelli, ha dovuto rassegnare le dimissioni, lasciando così il posto all’“eterodosso” Nelson Barbosa. Ma il vero problema del Brasile, prima ancora che economico e politico, è di tipo istituzionale; difatti, molti analisti datano l’inizio della instabilità dalla promulgazione della costituzione nel 1988, uno strascico che ha portato le spese federali a raddoppiarsi in breve tempo, così come la salita della spesa pubblica totale a superare ben oltre il 40 per cento in pochi decenni. Ad avvalorare la ipotesi vale la pena di sottolineare che il 90 per cento del bilancio federale circa è protetto dalla costituzione o dalla legge, come non riportare che le pensioni, tutelate costituzionalmente, da sole ingoiano l’11,6 per cento del PIL, una percentuale superiore a quella del Giappone, paese in cui cittadini sono molto più anziani. Il problema quindi è di tipo costituzionale, come dimostra anche la modificabilità delle generosissime pensioni che vanno in eredità per decenni alle vedove, tanto da aver prodotto il cosiddetto “effetto Viagra”, ovvero l’esplosione di matrimoni tra anziani e giovani donne a caccia della reversibilità. E lo stesso discorso vale, ceteris paribus, per la sanità, il salario minimo, la spesa sanitaria e altre voci. La Constituição, con i suoi circa 250 articoli, segue quella patologia del diritto che talora porta, soprattutto le esperienze costituzionali nuove, a scrivere leggi fondamentali sempre più lunghe nel tentativo di scrivere “la Costituzione più bella e completa del mondo”. Nelle circa 70 mila parole della Constituição, viene coperto ogni dettaglio della vita economica e sociale: dal salario minimo alla spesa sanitaria, dall’orario di lavoro ai tassi d’interesse, dalle tariffe per il lavoro notturno a quella per gli straordinari, fino al mantenimento del potere d’acquisto dei salari e dei pensionati. Sono tutti, dunque, diritti costituzionali. Ma cosa succede quando i diritti di carta impediscono la realizzazione o attaccano i diritti reali? Il populismo fiscale produce danni e conduce al disastro, ma è il populismo costituzionale che ne impedisce l’uscita. E’ questa la situazione del Brasile. Un processo di impeachment ad un Presidente eletto direttamente dal popolo, ha sempre ripercussioni pesanti sull’intero sistema degli equilibri costituzionali. Esso attiva una serie di conflitti che investono direttamente tutti i poteri costituzionali di uno Stato. Nel caso del Brasile, l’accusa di attentato alla costituzione a Dilma Rousseff appare come una spia di una nemmeno tanto latente crisi di sistema. Un’osservazione degli avvenimenti interni, da una prospettiva propriamente costituzionale, mostra che l’impeachment è una leva che ha aggregato diverse forze, con interessi spesso eterogenei, a favore di un cambio di regime politico. Nel complesso, appare sempre più evidente, come di recente sottolineato da Conrado Hubner Mendes, dell’Università di Sao Paulo, che l’opposizione a Rousseff stia utilizzando l’impeachment come un recall. Proviamo ad analizzare questa crisi di sistema, partendo da una analisi del come si sia arrivati alla messa in stato di accusa della Roussef. La Constituição, agli articoli 85 e 86, i casi nei quali il Presidente è soggetto ad impeachment e la procedura da seguire. L’articolo 85 prevede i casi di accusa nei confronti del Presidente anche per ‘improbidade administrativa’ o per atti di manipolazione della legge di bilancio. Tuttavia, il comma 2 dell’articolo rinvia a leggi speciali che devono indicare i confini di tali fattispecie. Il problema è che tali leggi speciali non sono mai state approvate. In questo contesto, ed approfittando della crescente impopolarità di Dilma Rousseff, l’opposizione, ossia una policroma costellazione di partiti e interessi finanziario-economici differenti, ha iniziato una procedura di impeachment che ha portato ad un voto con una maggioranza superiore ai due terzi. Come interpretare lo sviluppo di questa serie di eventi odierni? Da un punto di vista politico, le prospettive sono due. Dati i trascorsi, il linguaggio utilizzato dai sostenitori del Presidente Rousseff è quello del golpe sotterraneo, che, in assenza di un’improponibile attivismo militare, viene sostituito da altri canali di manipolazione del sistema, politico e democratico, sulla base della bassa differenziazione funzionale fra i diversi sistemi e la corruzione diffusa, che favorirebbero queste dinamiche. La lettura opposta mira, invece, a mettere in luce l’insostenibile corruzione del sistema politico brasiliano, ed attribuisce un ruolo di trasformazione alle inchieste in corso, come quella, parallela ma alquanto diversa, definita Lava Jato (auto-lavaggio), generata da una investigazione sui finanziamenti illeciti dell’industria dell’auto a tutti i partiti principali (è un’operazione della polizia federale del Brasile iniziatasi il 17 marzo 2014 e ancora in corso per portare alla luce un sistema di tangenti all’interno dell’azienda petrolifera statale Petrobras grazie alla dichiarazioni del pentito Alberto Youssef. Un giro di tangenti del valore di 10.000 milioni di Real brasiliani. Secondo le forze dell’ordine è la più grande operazione anti-corruzione nella storia del Brasile). Questo dato avrebbe annullato la pretesa del PT (il Partito dei Lavoratori) di rappresentare una reale alternativa nel panorama politico brasiliano. Da un punto di vista costituzionale, invece, è interessante chiedersi per quale ragione sia possibile percorrere la strada dell’impeachment per rimuovere il Presidente. A prima vista, esso segnala qualcosa di peculiare nel modello di separazione dei poteri nell’ordinamento costituzionale brasiliano, e la risposta va ricercata nella costituzione formale e in quella materiale. La costituzione brasiliana va collocata certamente nell’ambito più ampio delle costituzioni sudamericane contemporanee; però, essa contiene alcuni aspetti contraddittori, legati principalmente al regime politico brasiliano. Nell’attesa di nuove mosse dei partiti dell’arco costituzionale, resta il sapore di una bella olimpiade, volto sorridente di un corpo in avanzato stato di degenerazione.
Dott. Antonio Ansalone