Pet Therapy,Questo vuole essere solo un esempio di come si può far pagare la pena a chi ha sbagliato , in maniera dignitosa ed umana , grazie agli animali. Pertanto sarebbe auspicabile che le iniziative migliorassero ed aumentassero in tal senso.
Pet Therapy e carceri – Esiste una circolare che prevede la presenza di piccoli animali da compagnia in carcere, è fondata su due principi che conviene sottolineare, innanzitutto prevede che persone recluse possano occuparsi di un altro essere vivente , evitando la pena aggiuntiva della privazione del contatto con altre specie, poi sottolinea il valore e il beneficio che ne si può ricavare dal punto di vista psicologico ed etico-morale.
L’assunto di base è che gli animali domestici, per mezzo della loro capacità di comunicare possono alleviare condizioni di malessere e disagio. Se è vero che la maggior parte delle persone risente in maniera positiva della relazione con il proprio animale, tanto più importante tale presenza risulterà per le persone detenute che si trovano in una situazione di durezza esistenziale e di solitudine rispetto alle relazioni affettive ed umane. Il carcere, ha tra i suoi obiettivi non solo la punizione, ma la rieducazione , la risocializzazione ed il recupero, la presenza di animali può, in tal senso, diventare un “trattamento” volto all’umanizzazione della pena . L’attuazione di tali iniziative come la Pet Therapy è molto dipendente però dalla sensibilità dei direttori delle strutture carcerarie, non ci sono infatti delle normative precise, per cui l’innovazione ed il tempo che si vuole dedicare a tali attività è frutto di una adesione e convinzione personale. Dobbiamo ammetterlo, però, questi buoni esempi sono limitati e spesso si tratta di progetti che hanno una durata temporale precisa e gestiti da personale esterno, eppure le esperienze positive ed i vantaggi sono tanti: limitare la solitudine innanzitutto, aumentare il senso di responsabilità e contribuire a migliorare l’affettività, tutti elementi che possono apportare miglioramenti ed evitare, perché no, anche delle tragedie preannunciate. Sono tantissimi i detenuti che desidererebbero curare un animale, ma non osano nemmeno chiederlo, perchè la “domandina”da indirizzare al direttore rappresenta un sogno proibito, un premio che sono certi di non meritare. Eppure un canarino in gabbia da curare, anche solo per poche ore, può mobilitare la sfera affettiva, entrare nella testa e nel cuore di chi vive in solitudine. Bello e forse anche un po’ utopistico immaginare che progetti similari possano crescere, possano aprire un ponte verso l’esterno, verso il riscatto e la salvezza di vite interrotte come quelle dei detenuti.