La disabilità non può subire discriminazioni di alcun tipo e la città, primo luogo di scambi e interazioni dei cittadini, deve essere vivibile per tutti. Per un disabile azioni semplici, come percorrere un marciapiede, attraversare la strada o parcheggiare, rappresentano una notevole difficoltà a causa di inappropriate scelte di progettazione, di ostacoli fisici presenti nel percorso urbano e cattive abitudini da parte di cittadini indisciplinati.
Nel 1996 con un decreto emanato dal Presidente della Repubblica (D.P.R. 24 luglio 1996, n. 503) sono state fissate dettagliate prescrizioni tecniche riguardanti le strutture esterne, le caratteristiche strutturali interne degli edifici pubblici, e i servizi speciali di pubblica utilità (autobus, treni, metropolitane, marciapiedi,ecc.).
“Vorrei ma non posso”
Allora la domanda sorge spontanea: “Perché tutt’oggi questo decreto non viene rispettato?”
Troppo spesso si dimenticano le persone con disabilità, ci si dimentica che hanno dei diritti e che uno di questi diritti, probabilmente il più importante, è vivere senza sentirsi esclusi da questa società, una società che spesso si dimostra cieca quando si tratta di tutelare le cosiddette “fasce deboli”, perché è impensabile ed irrealizzabile una società sviluppata e moderna se nel 2017 siamo ancora qui a combattere per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
Ma il cambiamento, come sempre, deve partire dalle istituzioni, affinchè i disabili possano finalmente sentirsi parte integrante di questa società. Per questo vorrei una Pubblica Amministrazione impegnata a garantire il pieno rispetto della dignità umana e perciò attenta ai diritti di libertà e autonomia delle persone diversamente abili, che spesso sono costrette a diventare cittadini invisibili, con conseguente annullamento delle loro risorse e potenzialità. Essere disabile non vuol dire essere inutile o inefficiente, perché hanno anche loro delle abilità importanti, chiedono solo gli strumenti per poterle mettere in atto.
Perché una società cieca ed insensibile è una società che non ha futuro!
A cura di Arturo Portofranco