Alzheimer, 200mila italiani rischiano di ammalarsi nei prossimi anni

Il numero dei pazienti con demenza di Alzheimer è destinato a crescere nei prossimi anni: gli attuali 47 milioni di pazienti nel mondo potrebbero diventare 76 milioni nel 2030 e 131 milioni nel 2050 a causa dell’invecchiamento della popolazione. Nel 2015 l’Adi (Alzheimer’s Disease International) ha stimato a livello mondiale oltre 9,9 milioni di nuovi casi di demenza all’anno, cioè un nuovo caso ogni 3,2 secondi.

I costi totali stimati per la demenza a livello mondiale nel 2015 sono di 818 miliardi di dollari, cifra che rappresenta l’1.09% del Pil mondiale ed entro il 2018 i costi mondiali supereranno il trilione di dollari. Questo significa che se la demenza globale fosse un paese, sarebbe la 18esima economia più grande del mondo.
In Italia 600.000 sono i malati di Alzheimer e circa 3 milioni le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari; inoltre i soli costi diretti dell’assistenza in Italia ammontano a oltre 11 miliardi di euro, di cui il 73% a carico delle famiglie.

La ricerca in questa patologia, iniziata circa 50 anni fa, è tuttora fatta di ipotesi, tentativi, piccoli passi e fallimenti e non esiste ancora una cura certa. Uno studio evidenzia come tra il 2002 e il 2012 il tasso di insuccesso della ricerca legata all’Alzheimer sia del 99,6%.

Questi dati stimolano un grande senso di responsabilità di ciascun soggetto coinvolto, al fine di valorizzare la sinergia tra le competenze e le risorse degli attori in gioco per dare risposte ad una malattia che rappresenta, quindi, una priorità nell’agenda globale.

Temi che sono stati al centro dell’appuntamento annuale promosso dalla Fondazione Lilly nell’ambito del progetto “La Ricerca in Italia: un’Idea per il Futuro”. Qui si è fatto il punto sull’emergenza sanitaria e sociale dell’Alzheimer, partendo dal progetto “Interceptor”, avviato dall’Agenzia Italiana del Farmaco, insieme ad un gruppo di esperti sulle demenze: un modello di screening della popolazione a rischio, al fine di elaborare un modello di gestione del paziente sin dalle primissime fasi della malattia.

Proprio per questo la Fondazione Lilly, da nove anni impegnata a sostenere la ricerca in Italia, vuole partecipare al cofinanziamento di questo progetto, che con una proposta concreta e fattibile affronta una delle maggiori sfide di salute pubblica.

“Individuare trattamenti mirati ed efficaci per persone con l’Alzheimer e le altre forme di demenza è una delle più grandi sfide di salute a livello globale in considerazione dell’incidenza crescente di queste patologie nel mondo occidentale e del loro pesante carico umano, sociale ed economico – afferma Mario Melazzini, Direttore Generale dell’AIFA –  La strategia vincente può essere la condivisione degli obiettivi e dei percorsi di ricerca tra tutti gli attori della filiera, dalle fasi iniziali della progettazione degli studi e mettere a fattore comune risorse, competenze, dati e strumenti operativi. Il progetto “Interceptor”, in questo senso, rappresenta un’esperienza unica e come AIFA ci attendiamo preziose ricadute, non solo dal punto di vista clinico, ma anche in termini regolatori e di programmazione degli interventi sanitari”.

“Gli investimenti in ricerca sono i più strategici – osserva Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità – e il Paese può e deve fare sistema con una sempre maggiore collaborazione tra i diversi attori dei settori pubblico e privato per raggiungere l’obiettivo di individuare il prima possibile il miglior percorso di diagnosi e cura per l’Alzheimer. Solo così le autorità pubbliche, il mondo accademico, le associazioni pazienti, la ricerca privata potranno affrontare una malattia complessa con importante impatto sociale.”

“L’iniziativa di Fondazione Lilly da nove anni dimostra che questo sforzo è possibile e che anche in Italia si può ragionare con le logiche della sinergia – sottolinea Andrea Lenzi, Presidente del comitato di Biosicurezza e Biotecnologie della PdCM e coordinatore del board scientifico della Fondazione Lilly. –La ricerca italiana ha le carte in regola per farlo: se c’è un settore in cui il nostro Paese può tornare a essere grande è proprio la ricerca e sviluppo, perché i cervelli sono eccellenti, tanto che la nostra produzione scientifica è fra le migliori in Europa. Uno degli esempi virtuosi è proprio quello della Fondazione Lilly, una compartecipazione fra pubblico e privato, che prende il meglio da entrambi i settori, superando i limiti di ciascuno: le aziende oggi non riescono più come un tempo a fare ricerca da sole, come anche il settore pubblico da solo non può avere tutte le risorse necessarie. Esperienze come questa, in cui una Fondazione privata finanzia ricerche, senza interferire con scopi e risultati, possono e devono tracciare la strada per il futuro degli investimenti in ricerca in Italia”.

Commenta Ilya Yuffa Presidente della Fondazione Lilly: “E’ importante che, oltre al lavoro degli scienziati, anche i sistemi sanitari e la società in generale riflettano su quale sia un possibile modello di gestione dell’Alzheimer e delle sue ricadute socio-sanitarie.

Siamo certi che, di fronte ai dati epidemiologici e all’impatto socio-economico di questa patologia, solo attuando uno sforzo sinergico tra tutti gli attori potremo trovare una strategia di azioni sostenibili, volte a migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro caregiver: dalla prevenzione alla diagnosi, dai trattamenti farmacologi al percorso assistenziale adeguato ai bisogni.”

Conclude il Ministro Beatrice Lorenzin: “La ricerca in ambito sanitario è un investimento che contribuisce non solo ad alimentare le conoscenze scientifiche a beneficio del benessere dei cittadini, ma anche a migliorare la qualità del servizio sanitario e allo sviluppo dell’intero sistema economico del Paese, senza tralasciare l’enorme valore etico e sociale che riveste. Nell’ambito delle demenze, poi, il tema si fa ancora più stringente e complesso: già nel 2008 il Parlamento Europeo aveva riconosciuto la malattia di Alzheimer come priorità di salute pubblica. Farmaci innovativi che sviluppino un intervento di diagnosi precoce, infatti, consentirebbero non solo di contenere, arginare o guarire la patologia, ma anche di costruire un nuovo modello di organizzazione per la gestione dei pazienti, oggi – spesso – a carico delle sole famiglie. E’ su questo terreno che si gioca una delle più grandi sfide di un sistema sanitario universalistico, come è quello italiano.”

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