L’America e’ una democrazia particolare: questo lo avevo notato da tempo o almeno da quanto mi sono interessato in maniera approfondita al complesso sistema elettorale americano. Pochi giorni fa, in un incontro universitario, me lo ha confermato anche Jeffrey Galvin, addetto stampa dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Roma.
Un seminario per spiegare a grandi linee la campagna elettorale e le diverse strategie comunicative che i Repubblicani e i Democratici hanno adottato in vista delle elezioni presidenziali dell’8 Novembre prossimo. Elezioni che vedranno ai nastri di partenza il magnate Donald Trump e la segretaria di Stato, Hillary Clinton, moglie dell’ex Presidente Bill. Innanzitutto c’e’ da chiarire che gli Stati Uniti eleggono il loro Presidente attraverso un organismo chiamato ‘’Collegio elettorale’’. A differenza di quanto si pensi, l’elezione del Presidente americano non è diretta, perché i rappresentanti del Collegio elettorale sono nominati dalle assemblee legislative degli Stati. Ogni Stato ha un numero di voti elettorali che deriva dalla somma della sua delegazione congressuale formata da due senatori a testa e il numero di deputati alla Camera dei Rappresentanti assegnato in basa alla popolazione. Il Collegio che elegge il presidente ha in totale 538 voti: è eletto chi ne conquista almeno 270. Le elezioni presidenziali quindi sono decise dal voto nei singoli Stati. Il candidato che raggiunge la maggioranza relativa in 48 Stati su 50, conquista tutti i voti elettorali assegnati da uno Stato. Il meccanismo elettorale basato sulla competizione negli Stati influenza in modo assai rilevante anche la campagna presidenziale. Il voto nazionale, anche se formalmente ininfluente, è però quasi sempre predittivo rispetto all’esito delle elezioni presidenziali. Solo in quattro casi nella storia degli Stati Uniti chi ha ottenuto meno voti a livello complessivo è stato eletto alla Casa Bianca. Quello più recente, avvenuto nel 2000, quando il vicepresidente Al Gore aveva ottenuto mezzo milioni di voti in più rispetto a George W. Bush, ma perse la Casa Bianca per poche centinaia di voti in Florida. Per il sistema elettorale, che e’ poi quello ancora vigente, non venne rispettato il voto popolare. Un episodio che accese il dibattito attorno alla legittimità democratica di di una delle più grandi potenze economiche e militari dell’intero globo. Se da un lato l’aspetto finanziario delle campagne elettorali e’ regolamentato in maniera piuttosto chiara, con una sorta di regolamentazione delle cosiddette lobby di potere economico che finanziano un candidato o il suo avversario, dall’altro sembra ci sia una falla democratica per quanto riguardo il tassello della rappresentatività. Sembra paradossale, ma e’ realtà. Anche se ormai gli americani convivono con questo sistema elettorale che da sempre ha generato anche aspri dibattiti. Perché non un sistema che dia pieno potere decisionale al popolo stesso? E’ altresì vero, come già accennato precedentemente, che solo in quattro casi nel corso dell’intera storia americana il volere popolare non ha coinciso con l’effettiva rappresentanza presidenziale. Non resta quindi che attendere l’election day di Novembre per vedere se, per la quinta volta nella sua storia, l’America sarà un po’ ‘’meno democrazia’’.