Una delle preoccupazioni fondamentali, collegate alla crisi economica attuale, è certamente rappresentata dalla scomparsa del ceto medio, che, in particolar modo in Italia, rischia sempre più di proletarizzarsi.
Infatti, già l’introduzione dell’euro ha inferto un colpo (quasi) mortale alle aspettative di vita di una classe sociale alquanto composita al suo interno, perché formata tanto da liberi professionisti ed autonomi, quanto da lavoratori dipendenti, che lavorano sia presso aziende statali e private, sia alle dipendenze della Pubblica Amministrazione.
La crisi, scoppiata in America alla fine del decennio scorso ed arrivata in Europa da un paio d’anni, ha cancellato un ceto, che ha, da sempre, rappresentato la spina dorsale dell’economia capitalistica, visto che è il principale contribuente per l’Erario, sia per le imposte dirette versate, sia per i consumi, che è in grado di realizzare, spingendo in alto, quindi, il prelievo attraverso il meccanismo dell’imposizione fiscale indiretta.
La contrazione dei consumi, dovuta alla scarsa circolazione di denaro oggi esistente, ha fatto sì che la classe media si proletarizzasse, arrivando a spendere il necessario e privandosi, dunque, dei beni voluttuari, che invece, prima, ne caratterizzavano il trend consumistico.
Il Governo italiano, che deve far fronte al problema del risanamento delle casse statali, è ora chiamato a varare una manovra finanziaria, che potrebbe ulteriormente danneggiare una classe sociale, ormai, non più ricca ed agiata come prima.
Si ipotizza che Renzi ed i suoi tecnici stiano studiando un prelievo fiscale eccezionale sulle pensioni, che superano il limite dei duemila euro netti al mese: se una decisione simile venisse effettivamente assunta, sarebbe il colpo finale alle ambizioni di un gruppo cospicuo di Italiani, che si vedrebbero sfumare la possibilità stessa di condurre una vita, ancora, dignitosa; infatti, la soglia, a cui sta lavorando l’Esecutivo, rappresenta il limite fra la mera sussistenza ed una vita appena dignitosa, dal momento che, per effetto dell’inasprimento fiscale generalizzato e dell’aumento delle tariffe sulle forniture essenziali per la casa, è divenuto, ormai, difficile poter vivere con un budget inferiore ai venticinquemila euro netti all’anno.
Se, poi, si aggiungono anche i costi cospicui dell’assistenza sanitaria, visto che parliamo di pensioni e, dunque, di una platea di destinatari rappresentati per lo più da persone anziane ed inferme, appare evidente che l’azione del Governo sarebbe impopolare ed, in particolare, creerebbe motivo di frizioni sociali di non poco rilievo.
È, alquanto, anomalo un orientamento, non solo tipico dell’Esecutivo in carica, ma pure di quelli che l’hanno preceduto: nessun Presidente del Consiglio o Ministro dell’Economia ha il coraggio di proporre una seria Legge Patrimoniale, che colpirebbe non solo la classe media, ma farebbe ricadere il peso maggiore dell’intervento statale sulle classi sociali più abbienti, che hanno redditi ben superiori a quelli della piccola e media borghesia.
D’altronde, se la contingenza odierna presenta il carattere dell’eccezionalità, è giusto che i sacrifici vengano realizzati da tutti, proporzionalmente con il proprio censo: pertanto, appare iniquo colpire il ceto medio – dopoché le classi più sfortunate della società sono, già, cadute nella povertà conclamata – e non andare a fare alcun prelievo forzoso di ricchezze ai danni di chi le possiede e, sovente, è riuscito a sottrarsi all’inasprimento della leva fiscale, attraverso comportamenti, che è eufemistico definire “maliziosi”, indotti da una legislazione di favore, talora concepita ad hoc.
È, dunque, giusto tutelare interessi sociali diffusi, anche solo per scopi, meramente, elettoralistici: orbene, Renzi ed i suoi tecnici sapranno salvaguardare le ragioni del risanamento finanziario pubblico, senza ledere chi ha, già, offerto tanto sull’altare del Bene comune?
Rosario Pesce