E’ quasi certo che parte della Pirelli (il settore gomme per camion) passi ai cinesi del gruppo statale Chem-China. Mentre il settore dei pneumatici premium resta alla casa madre italiana. E dire che 25 anni fa la societa’ di Leopoldo Pirelli stava per acquisire la Continental, il concorrente tedesco divenuto oggi un colosso con 34,5 milioni di ricavi contro i 6 milioni della Pirelli.
Nell’ultimo quarto di secolo i ricavi della Casa italiana sono rimasti invariati mentre quelli della societa’ tedesca sono divenuti quasi nove volte maggiori; in parallelo mentre il numero dei dipendenti della Pirelli si e’ quasi dimezzato (70.560 contro 39.490), alla Continental i lavoratori sono passati da 47.500 a 189.000 (quasi quadruplicati). Di fatto la societa’ tedesca e’ alla pari con la giapponese Bridgestone, la francese Michelin e l’americana Goodyear mentre Pirelli e’ rimasta indietro, nettamente staccata in classifica.
Nel trentennio appena trascorso in Italia hanno tenuto solo Eni, con ricavi decuplicati (da 17mila a 114mila) anche se con dipendenti in flessione (da 130mila a 80mila), Finmeccanica e Fincantieri che cura il settore dell’allestimento di navi da I numeri del gruppo Fiat sono in crescita (ricavi da 12.298 a 113.740 milioni di euro) ma bisogna tener conto che ha negli anni aggregato diversi marchi che oltre alla FCA (Fiat Crhysler Automotive) comprende trattori, camion e macchine del movimento Gli ultimi tre lustri hanno visto la scomparsa di grossi gruppi italiani quali l’Olivetti nel 1997, l’Italtel nel 1999, la Montedison nel 2002 e la Pirelli ha dovuto cedere la Pirelli Cavi, divenuta Prysmian nel 2005.
Quindi in Italia si sono persi per strada sei colossi che dominavano l’industria planetaria negli anni Ottanta e Novanta. Nello stesso periodo l’IRI ha gestito le dismissioni dell’Italsider, la cessione dell’Ilva ai Riva, dell’Acciaieria di Terni alla Thyssen ed il fallito rilancio di Finsider. Tali manovre hanno comportato un costo per lo Stato di 1.200 miliardi di lire e 70mila posti di lavoro. Resta l’Ilva da salvare per non scomparire da un settore strategico e per salvare 16mila posti di lavoro che non e’ facile reperire altrimenti. L’altra nota dolente e’ costituita dalla Indesit che nel casertano occupa 550 addetti. Ma qui il problema e’ solo locale in quanto l’azienda ha in programma investimenti in Italia per 500 milioni nei prossimi quattro anni. Sta ora al Ministero e alle parti sociali trovare una soluzione per rendere meno doloroso possibile il taglio del personale o comunque non concentrarne gli effetti negativi solo in Campania. Bisogna a tutti i costi smorzare questa spirale di negativita’che vede l’industria italiana perdere pezzi pregiati e leadership in importanti settori. Germania e Francia hanno fatto nello stesso periodo nettamente meglio di noi, hanno raggiunto buoni risultati frutto di programmazione seria e di investimenti nella ricerca mentre in Italia e’ prevalsa la speculazione finanziaria e l’ingerenza della politica quasi mai proficua i termini di risultato: si ricordi l’ostinazione del Cavaliere contro la fusione di Alitalia con Air France, salvo a trovarsi se anni dopo nelle stesse condizioni di precarieta’, aggravate dall’aumento delle passivita’. Inoltre ci si e’ cullati sul “piccolo e’ bello”, il successo negli anni ottanta delle PMI italiane, perdendo occasioni di fusioni ed incorporazioni con aziende europee, proprio quando era opportuno, anzi necessario farlo.