C’è stato un tempo in cui la politica piaceva e piacevano anche i politici. Oggi il giudizio etico su di essa è un giudizio negativo, la società riconosce nella mancata trasparenza l’elemento voyeuristico, l’essere diventati spettatori e non attori partecipanti, l’impressione di non poter agire e di non poterci impegnare se non nel guardare. D’ altronde la politica cavalca l’onda del rancore, i politici impegnati quasi sempre in un’ opera di riconoscimento e attestazione della propria“incolumità”rispetto a fatti e avvenimenti. Noi appunto, spettatori, non più promotori di azioni che portino verso un’ascensione sociale, in uno scenario che sembra farci credere non ci sia rimedio al “malaffare”, non ci sia più spazio per la riscossa. Eppure per compiere un lavoro culturale, di mutamento sociale , di visione nuova delle cose l’unica strada sembrerebbe la politica e l’impegno cosciente di chi la “istituzionalizza”. Agganciarsi alla trasparenza, fornire un modello di autorevolezza, preoccuparsi delle finalità sociali e civili in primis. Seppure gli “onesti” però compiono un lavoro di ricognizione culturale e sociale è forse sempre troppo poco rispetto alla confusione che genera la comunicazione politica odierna. Partecipare, divenire protagonisti, sembrerebbe un miraggio, eppure i giovani possono solo attraverso lo strumento della partecipazione generare un vera e propria svolta. Un impegno anche lontano dal clamore mediatico, svolto nelle“periferie”delle città o in quelle dei piccoli comuni, testimoniando il bisogno di cambiamento. Sfiducia,disagio,incertezza, sono questi gli elementi che emergono parlando con i giovani di politica. I piccoli comuni rappresentano sovente un riferimento che rende possibile la tendenza proattiva, spesso “invisibili”, i più giovani tentano attraverso il volontariato e l’associazionismo di richiamare la trasparenza e la politica del cambiamento, le azioni latenti compiute nei comuni più piccoli mostrano il bisogno e la voglia di riscatto che non sempre trova compimento. Tirando le somme sembra che la partecipazione politica dei giovani sia legata a forme manifeste o invisibili, nel secondo caso l’idea che la politica sia legata alla “natura privatistica”spinge tanti ad impegnarsi in azioni di volontariato, credendo però che la politica vera sia quella attuata dai partiti politici, l’unica strada per cambiare il proprio status quo. C’è in sostanza un tentativo concreto di attuazione del cambiamento ma non c’è quasi mai un’identificazione con colori o partiti politici; si partecipa a diverse iniziative ma non ci si riconosce in esse, rimanendo arrabbiati, sfiduciati e “figli del disincanto”. E’come se la purezza degli atteggiamenti con cui tanti giovani provano a riempire “i vuoti istituzionali” non accorciasse le distanze, anzi le amplificasse. E’ come se gli “esperti del mestiere” non ne avessero bisogno. Va da se’ però che non c’è nel risentimento di tanti giovani una rassegnazione totale, anzi, c’è il bisogno di trovare “altrove” la vera democrazia, di tenere “sotto analisi” i politici, osservarli e distaccarsene.