La mossa di Berlusconi, nella vicenda romana, è di grande importanza: aver, infatti, deciso di non sostenere più Bertolaso, ma di dare la propria ufficiale adesione alla candidatura di Marchini contribuisce a ridefinire lo scenario politico, non solo della capitale. Infatti, le conseguenze sono immediate: in caso di candidatura di Bertolaso, molto probabilmente al ballottaggio sarebbe arrivata la Meloni, la quale avrebbe approfittato della moltiplicazione dei candidati di area moderata.
Così facendo, invece, come mostrano i sondaggi, le cose cambiano radicalmente, perché il favorito per il ballottaggio diviene lo stesso Marchini, il quale, al secondo turno, andrebbe a sfidare, chiaramente, l’altra probabile outsider, la Raggi, candidata del M5S. Il dato, dunque, diviene di importanza non solo romana, ma nazionale, per gli effetti che esso può scatenare.
Appare evidente che, da tempo, Berlusconi non sia più in una posizione di forza all’interno del Centro-Destra, per cui la coppia Meloni-Salvini aspira ad acquisire la leadership dello schieramento, che un tempo il Cavaliere governava in modo leaderistico. Il voto romano servirebbe alla coppia Meloni-Salvini per misurarsi rispetto all’area moderata del Centro-Destra, per cui, qualora Forza Italia si fosse prestata ad un siffatta strategia, avrebbe rischiato non solo di non esprimere il futuro sindaco della capitale, ma soprattutto di essere costretta ad andare al traino della componente più populista e demagogica dell’odierna geografia parlamentare. Berlusconi, dopo aver fiutato così la difficoltà estrema, ha riacquisto quella saggezza necessaria per stipulare l’accordo con un candidato civico, che però diventerà, automaticamente, espressione di un ragionamento politico nazionale molto più ampio ed importante. Peraltro, se al ballottaggio arrivasse contro Marchini la candidata dei Grillini, appare evidente che, finanche, lo stesso Renzi sarebbe costretto a strizzare l’occhio a Marchini e, quindi, a Forza Italia, per cui, in nome di un’opzione politica anti-grillina, si verrebbe a consolidare a Roma uno schieramento moderato molto autorevole, da Berlusconi ad Alemanno, da Renzi a Casini, che troverebbe la sua ragione d’essere nella strenua resistenza all’avanzata del M5S.
Pertanto, Roma diventerebbe il laboratorio in cui verrebbe a sperimentarsi una formula, che andrebbe poi ripetuta, anche, in occasione del voto generale del 2018. Infatti, prevedendo come molto possibile il ballottaggio anche in quell’occasione, è chiaro che Renzi, qualora non vincesse le elezioni al primo turno, per arrestare l’avanzata delle truppe dei Grillini, avrebbe bisogno al secondo turno del sostegno di tutta l’area moderata, da Casini ad Alfano, da Berlusconi ad Alemanno, cioè esattamente i medesimi soggetti che, ora, si stanno riconoscendo intorno alla ipotesi di Marchini sindaco della capitale. È un mantra, che torna, ma siamo di fronte ad una evidenza che non possiamo negare: venti anni fa, le elezioni comunali di Roma servirono a sdoganare la Destra ex-fascista, per cui il sostegno, che Berlusconi diede a Fini, servì a creare il bipolarismo della Seconda Repubblica, ex-democristiani ed ex-comunisti da una parte; Forza Italia, ex-socialisti ed Alleanza Nazionale dall’altra. Oggi, invece, nasce con il voto romano un sistema, almeno, tripolare composto da moderati del Centro-Sinistra di un tempo (il PD a trazione renziana), moderati del vecchio Centro-Destra (Forza Italia) ed i Grillini, che sono chiaramente la forza anti-sistema, che tutti vorrebbero sconfiggere. Orbene, si gettano le condizioni perché i moderati di una parte e dell’altra, in nome appunto della contrapposizione aperta all’ascesa al M5S, vadano a costruire un’area comune di riferimento, pronta a coalizzarsi, quando bisognerà votare per il governo dell’Italia e non solo di Roma.
Berlusconi, dunque, a distanza di venti anni, pur non potendo più giocare la partita in prima persona, ha ridefinito il campo ideale della partita, gettando le basi per quel Partito della Nazione che, a Roma, voterebbe per Marchini ed, a livello generale, per Renzi nel 2018. Peraltro, una simile soluzione non avrebbe, neanche, la controindicazione della presenza di personaggi discutibili, visto che Marchini è persona stimabilissima ed è espressione, finanche, di una famiglia di imprenditori molto importanti che, per decenni, ha sostenuto il PCI, ai tempi della Prima Repubblica.
Pertanto, guarderemo al voto del 5 giugno, valutando in prospettiva la dinamica dello scenario politico generale, ben sapendo che, dalla battaglia per il Campidoglio a quella per Palazzo Chigi, la distanza non solo temporale è – invero – brevissima.
Rosario Pesce