Richiamando il titolo di un famoso film italiano, girato agli inizi degli anni 70’ del ventesimo secolo, in cui si mettevano in risalto le condizioni di lavoro degli operai delle fabbriche e dove i datori di lavoro svolgevano ancora il ruolo di padri padroni decidendo della vita degli operai stessi, e i sindacati spesso erano collusi con questi ultimi, si può dire che, oggi a distanza di quasi cinquant’anni da quello spaccato di società, così abilmente descritta da Elio Petri, non molto sembra cambiato…
Certamente le rivolte della fine degli anni 60’ e degli anni 70’, attuate in primis dalla classe operaia, dagli studenti e dalla frangia più estrema della sinistra italiana e le relative riforme del lavoro che si furono attuate dai vari governi (su tutte la legge Biagi), hanno apportato qualche significativo miglioramento dei diritti dei lavoratori.
Il sud, sicuramente, fattispecie nelle sue aree interne, ha risentito poco o nulla dei pochi cambiamenti positivi che hanno riguardato i lavoratori in particolare dipendenti. La piaga della mancanza di lavoro, aggravata dalla crisi economica che imperversa il nostro Paese a partire dal 2008, unita ad una endemica mentalità di assistenzialismo e caporalato, fa sì che la popolazione tra il 40 e 50 per cento (nei giovani la cifra sale addirittura al 55%) sia disoccupata e l’altra, certamente, non se la passa tanto meglio.
Nelle fabbriche si assume ancora tramite raccomandazioni politiche, a volte in cambio di richieste di pagamenti in denaro (bustarelle), con il benestare dei sindacati che spesso chiudono entrambi gli occhi… In piccole attività commerciali i dipendenti vengo assunti part time, ma il più delle volte svolgono e un vero e proprio lavoro a tempo pieno.
Le buste paga vengono gonfiate, in realtà il percepito è molto inferiore. I diritti, presenti solo sulla carta, vengono regolarmente aggirati o calpestati; lo straordinario non è quasi mai retribuito e il povero dipendente deve spesso sottostare ad abusi e soprusi pena la minaccia di licenziamento. Ancor peggio se la passa la categoria femminile. In questo caso oltre a combattere con le problematiche già anzidette, per le donne, specialmente al sud, ancora non è stata raggiunta la soglia della parità con l’uomo, infatti quasi sempre percepiscono uno stipendio inferiore.
La discriminazione è all’ordine del giorno, e se nelle fabbriche e grandi aziende godono più o meno degli stessi diritti degli uomini, è nelle piccole aziende o esercizi commerciali, veri e propri feudi senza alcuna legge, in cui si compie lo scempio peggiore. In questi casi la dignità della donna è completamente calpestata. Spesso, in particolare per la categoria delle giovani lavoratrici, vengono chieste da parte dei datori di lavoro, prestazioni extra…pur di avere o conservare quel misero posto di lavoro.
Nel ventunesimo secolo si è ancora ben lontani dall’aver acquisito quei diritti sul lavoro che sono presenti sin dalla nascita della nostra Repubblica, e che i nostri padri fondatori idealisticamente si immaginavano. Oggi suonano più che mai attuali le parole di uno dei grandi industriali italiani del secondo dopoguerra, Piero Olivetti, che affermava: “Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva…”
A cura di Marco Vitale