Economia – Bisognerà aspettare la riforma costituzionale per fermare l’instabilità economica? Uno sguardo allo scenario attuale.
In Italia si è sprecato finora molto del tempo utile e moltissime occasioni per ridurre i danni di anni di politiche economiche allegre e spensierate ed oggi, nelle migliori condizioni, con i prezzi delle materie prime mai così bassi a cui si aggiunge una potente spinta della Banca Centrale Europea, la nostra politica non è ancora riuscita a cogliere l’occasione più propizia per attuare quelle necessarie politiche di compressione della spesa pubblica, quelle azioni puntanti al taglio del debito pubblico e quegli strumenti in grado di lasciar correre sia l’occupazione che la produzione, continuando a praticare una scelta di spesa corrente tale da produrre, in tutto il sistema, l’illusione che fosse capace di far crescere i consumi, quando poi risultava fine alla sola irrigazione del proprio orto elettorale. Ad oggi, la cosiddetta “Repubblica dei bonus” si è rivelata un vero disastro, portandoci a precipitare con una velocità molto più veloce di quando si crede si stia risalendo, e stentiamo a crescere la metà quando ci si propone di avanzare. A questo punto, con sguardo obiettivo e oggettivo, si possono fare almeno tre cose.
La prima, immediata, è non attendere settembre per avere i nuovi dati dell’Istat, che si prevedono già di profonda depressione, e anticipare il termine per presentare una nuova legge di stabilità. I dati di certo sono ancora tristi, perché la percentuale di crescita sarà, forse, inferiore a quella dell’anno scorso, dimostrando così infondate tutte le diverse previsioni fatte qua e la. Né aiutano taluni sciocchi propagandismi, e oggi c’è necessità di poter veramente tirare fuori le forze migliori per risollevare le sorti del paese, con scelte coerenti e con azioni mirate, senza dimenticare che la priorità deve essere la riduzione delle disuguaglianze. I dati analitici ci dicono che gli italiani che oggi lavorano sono troppo pochi in percentuale al fabbisogno del sistema, quindi servono diverse regolamentazioni nel mercato del lavoro e nuove forme di tutela del lavoro temporaneo, perchè oggi è fondamentale “lavorare, produrre e guadagnare” e non pontificare. Così come i tagli alla spesa corrente non devono essere solo annunciati con molta enfasi, ma realmente fatti, concretamente attuati nei settori più devastanti, altrimenti si traducono in ulteriori costi che continuano a spezzare le gambe all’Italia che prova a camminare; le stesse semplificazioni burocratiche, tanto decantate da anni ormai, ad oggi sono bei programmi e devono trasformarsi in atti che riducano l’estensione della mano pubblica, oltre al doveroso impegno di introdurre il merito in tutto il settore pubblico dalle scuole ai tribunali, mentre chi riscuote lo stipendio e non vuol lavorare deve prima essere privato del maltolto e poi cacciato con disonore. Tutto questo deve vedersi, infischiandosene delle eventuali proteste, perché altrimenti non funzionerà nulla e affonderemo con una nave che abbiamo noi colato a picco.
La seconda riguarda la necessità di frenare la circolazione di quella cattiveria secondo cui il problema sono solo i “vincoli europei”, senza rendersi conto che la vera malattia risiede nella politica che è completamente slegata dalla realtà dei conti italiani. Basta notare come chiedere più deficit e/o più debito, non solo non permette di creare crescita, ma ricorda tanto l’atteggiamento del tossicodipendente che chiede droga o metadone per non andare in astinenza; e seppure si dovessero contrattare eventuali adeguamenti, si dovrebbe farlo come strumento atto ad accompagnare quelle benedette e sacrosante riforme “profonde” del sistema paese, come risulta chiaro nel caso teutonico, che ha visto ridurre le sofferenze del paese fra il 1999 e il 2005. L’Italia, tra l’altro, è il Paese che più ha beneficiato dei tassi di interesse, bassissimi, sul debito, e siamo quelli che hanno risparmiato di più, rispetto ad altri messi male, sul mostruoso debito pubblico creato in 50 anni di politica “allegra”. Sentire dire, come è capitato oggi, che quei tassi creano problemi alle banche, consente solo di indebolire la forza regolatrice della Banca Centrale Europea, e rafforzare di converso l’opposizione tedesca. Una letale zappata sui piedi, anche se di certo quei tassi dovranno pur risalire, dato che distorcono pesantemente il mercato, seppure un immediato effetto sarebbe una rovina della economia italiana.
La terza cosa ha a che vedere con il nostro fermento politico interno, ovvero che a fronte del risultato, qualsiasi esso sia, del referendum costituzionale di questo autunno, non sarà mai di quella portata capace di rimuovere la credibilità e la stabilità all’Italia. L’errore, se si può parlare di errore, del Premier è di aver personalizzato la consultazione trascinandola sul terreno del “like” al Governo e alle sue attività, travestendola da prova finale per la quale l’Italia è la sola in grado di cambiare senso di marcia e: che solo col SI vedremo la luce in fondo al tunnel, che solo col SI verranno demolite le vecchie incrostazioni, che solo col SI il futuro sarà fulgido e di crescita. Intanto non ci si accorge che continuando a ripetere quanto un risultato negativo sarebbe il trionfo del caos, si stia spostando il senso e il valore del referendum, glissando spaventosamente sul fenomeno dell’astensione e sul vero futuro del paese, facendo ancor più danni di quanti se ne potrebbero attendere alla luce della convinzione di redenzione ideale italiana che ha coinvolto anche i policy makers esteri, tutti scapicollati a difendere il vessillo della riforma a prescindere. Bisognerebbe comprendere che le aspettative sono una mina, che galleggia appena sotto il livello dell’acqua ed è costantemente attiva, e che per evitarla non solo ci vuole competenza e responsabilità, ma esperienza di mare e un pizzico di sano coraggio. Gli italiani voteranno come credono, e come devono, almeno questo è un dato assodato e certo, ma purtroppo senza che questo sposti di un capello la responsabilità di chi li governa o si candida a governarli.L’auspicio è che alla fine della giostra, il paese abbia un modello di riferimento sicuro e duraturo, che i governi si impegnino a politiche di riequilibrio delle diseguaglianze, che non sono solo di bilancio, e che gli italiani siano più coscienti che non ci si può far trasportare sul terreno basso delle dispute politiche per motivi, ideali e necessità ben più grandi e gravi di un semplice cambio di esecutivo.
Dott. Antonio Ansalone