La situazione dei rifugiati nei campi in Grecia è diventata ormai insostenibile. L’Europa “deve” necessariamente aprire gli occhi su ciò che sta accadendo nel proprio territorio, e fare tutto il possibile affinché queste persone possano vivere in condizioni dignitose.
Ormai questa crisi umanitaria inserita nel contesto di una ulteriore crisi economica, quella della Grecia, è fuori da ogni segnale radio, televisivo, o della rete. A fronte della nuova crisi di sbarchi, che segna l’inevitabile punto debole dell’Unione europea, il fronte civilizzato sembra aver perso molta della propria solidarietà che a parole aveva sparso in ogni pubblico consesso.
Molte cose accadono nella testa di ognuno quando ci si confronta per la prima volta con queste crisi e con queste emergenze; e tutti gli sforzi sembrano spesso cadere nel vuoto, essere disperatamente insufficienti, non riuscire a coprire la mole enorme di persone, uomini con donne e bambini, che giungono stremati e distrutti psicologicamente da un viaggio che tenta di portarli fuori dalla guerra.
I campi di accoglienza in Grecia sono di quanto più provvisorio e inefficiente sia possibile; il cibo è spesso cattivo, in molti ricevono derrate ormai fredde, e l’acqua per le utilità quotidiane è insufficiente o mal distribuita. Persino l’ex aeroporto di Atene, l’Hellinikon, già venduto, è stato trasformato in un campo profughi; le tensioni e conflitti tra gruppi di rifugiati pesano sull’umore, mentre le donne sono esposte a violenza sessuale. Ma nessuno riesce a vedere, men che in Italia, questo disagio, e tantomeno le alte sfere della Unione Europea riescono, in realtà non vogliono, a percepire la situazione di profondo disagio che si vive in queste strutture di raccolta al limite della decenza.
I rifugiati sanno che non potranno, ancora, venire in Europa. La prima ondata, che è giunta dalla Siria, consisteva di persone formate dalla classe media; che nella loro disponibilità di denaro, hanno fatto il possibile per pagare i contrabbandieri e la loro sistemazione in alcuni hotel. Ma dopo questa prima ondata, adesso arriva la gente più povera, quelli che erano stati trattenuti nei campi di Turchia e dei Balcani e che vogliono andare più lontano, magari ricongiungersi coi propri familiari nelle zone più floride dell’Europa. Ma, oggi, i confini dell’Europa “solidale” stanno diventando sempre più stretti, impenetrabili e fonte di dissidi e minacce velate.
Il declino dell’Europa dell’accoglienza, quella dei paroloni e delle proposizioni, si manifesta in Grecia ed in Italia. La giustizia e la pace, tanto decantate, non possono rimanere in silenzio in questa situazione, intanto sono violentate dalle azioni di chi, prima, si è dichiarato profondamente colpito dall’esodo, per poi chiudere porti e mandare l’esercito alle frontiere. Ma stupidi anche i paesi rivieraschi, che di fronte a tale scempio della coerenza non fanno nulla per ridimensionare il proprio peso specifico e dare un forte segnale di irriverenza verso questi paesi “traditori”.
E ‘chiaro che non si potrà accogliere tutti; questa migrazione forzata e non voluta, che mostra quale sia il vero problema della “storia” umana, finirà con l’indurire ancor di più i fronti politici che stanno frenando le posizioni solidaristiche coi propri dicktat. Nel breve periodo si potrà far fronte all’esodo, magari cercando di trovare luoghi o centri di raccolta temporanei, ma col perdurare di queste tensioni interstatali che fine faranno questi profughi? Mentre ci si bisticcia come donnine zitelle, chi penserà a fermare l’esodo? Chi si occuperà di ricucire lo scenario di una regione, quella mediorientale, che è in guerra dal 1917? Domande queste,come tante altre, che sembrano non aver e poter avere una risposta se non in termini di politica di vicinato.
Noi civilizzatissimi e ormai decadenti europei, con il supporto dinamico degli USA, riusciamo nell’imbarbarire i valori di cui ci siamo pregiati di costruire le fondamenta dell’Europa unita. Di fronte al valore della vita umana e alle difficoltà di far fronte a fenomeni, come l’estremismo di matrice islamica, che non siamo riusciti mai a comprendere se non con un luogo comune, potremmo mai riuscire a trovare una soluzione ad un pasticcio che abbiamo contribuito fortemente a materializzare?
Perché non siamo così civili da prendere coscienza che errori plateali (l’ossessione di esportare la pace o i modelli occidentali, l’abbattimento di regimi che alla fine mantenevano equilibri geopolitici, il rafforzamento di gruppi di lotta che l’indomani diventavano essi stessi nemici) commessi in nome della “democrazia” altro non sono stati che errori fatti in modo colpevole e doloso allo stesso tempo? Saremo mai in grado di rianimare una parte del mondo che ci siamo inimicati a prescindere? Quanto riusciremo a rendere meno pesante l’economia nel carnet delle scelte di geopolitica?
Sono domande che ci facciamo in pochi, perché gran parte di noi è deviato dalle “leggerezze” dell’attuale informazione, dalla spinta verso il futile e il superfluo, verso i valori del consumismo e della estemporaneità. Oggi, più che mai, vale la domanda/affermazione di Primo Levi, che restava atterrito di fronte alla “soluzione finale”, e noi oggi quanto possiamo dirci “esterrefatti” di fronte a questo uomo, europeo, in giacca e cravatta, che discute molto ben remunerato di come impedire selettivamente l’accoglienza dei rifugiati, dimenticando di essere causa del problema.
Dott. Antonio Ansalone