Il giorno dedicato alla festa della donna, l’8 marzo, è di per sé occasione utile per promuovere una riflessione intorno alla condizione femminile, visto che – ormai, in tutto il mondo – tale ricorrenza è diventata un evento memorabile, che mobilita centinaia di migliaia di donne, che festeggiano il riscatto della loro condizione, un tempo servile, ed – oggi – finalmente giunta ad una parità non solo formale.
È vero che, tuttora, quello femminile è – ancora – il sesso debole, perché, in alcuni ambiti sociali, permane il primato maschile, ma ormai la condizione femminile ha raggiunto, almeno, nel mondo occidentale uno standard accettabilissimo, ben differente da quello, purtroppo, vigente in altre aree: gli esempi dei Paesi del Terzo Mondo e di religione islamica sono solamente quelli che, più immediatamente, ci raccontano di una donna schiava, ma non sono gli unici, che possono essere fatti con le dovute ragioni.
In politica, in Occidente, la donna ha realizzato, nel giro di poche decine di anni, un livello di promozione rilevante, a tal punto che, in diverse Amministrazioni statali, le donne sono giunte al vertice, occupando posti di responsabilità, che costituiscono invero un fattore di orgoglio per coloro che, nei decenni scorsi, hanno combattuto per promuovere il ruolo femminile, anche, oltre il mero habitat domestico.
Certo è che, sull’altare della parità fra generi, la società, per altro verso, ha pagato un prezzo alto, dato che quello patriarcale era un consesso nel quale la famiglia costituiva un nucleo essenziale, in virtù del lavoro quotidiano, che le mamme sapevano garantire a vantaggio dei loro figli e dei loro mariti. Invece, con l’ingresso della donna nei luoghi sociali, un tempo solo maschili, ineluttabilmente il cenacolo familiare è entrato progressivamente in crisi, dimostrando i limiti di una politica, che, per un verso, ha realizzato la promozione del gentil sesso, ma per altro non ha garantito, in modo uguale, interessi deboli, come quelli dell’infanzia, cui era dedita l’antica matrona romana.
La donna, comunque, diventata professionista, ha contribuito in modo decisivo alla crescita dei comparti lavorativi, nei quali ha fatto ingresso: essa tende, infatti, a portare in queste dimensioni la forza della propria sensibilità, per cui, diversamente dall’uomo, più incline al compromesso, ha una maggiore tensione morale (forse, uterina?) ed è pronta a difendere i valori, nei quali crede, con un coraggio ed una forza leonini, che mancano – talora – a noi maschi, più propensi alla mediazione ed al conseguimento del mero utile individuale.
La donna, quindi, ha impresso una svolta importante nella mentalità comune, contribuendo a fare della società, dei luoghi di lavoro e di tempo libero delle autentiche comunità, dove la passione, il sentimento prevalgono rispetto alla razionalità fredda tipica di chi – come il maschio – è erede di secoli ininterrotti di una gestione e di una direzione standardizzate del Bene pubblico, più orientate secondo i principi della mera ragione efficiente.
Dunque, non si può non riconoscere il primato femminile, conseguito con lotte, che, nate nell’Ottocento, non sono ancora terminate, visto che, spesso, la donna si deve difendere, finanche, da un errato concetto di ugualitarismo, che, molto ipocritamente, la rende debole, pur volendo promuovere l’effetto opposto.
Ad esempio, in politica si registrano, a volte, situazioni non comprensibili: chi scrive è contrarissimo alle riserve di posti, che vengono concepite in favore del gentil sesso, quando sono scritte le leggi elettorali, visto che una donna dovrebbe entrare in Parlamento quando, effettivamente, è più brava del maschio ovvero quando riesce ad acquisire consenso in modo agevole e non per effetto di una riserva di legge, che nasconde – talora – dinamiche poco virtuose.
Quante Olgettine – di Destra, come di Sinistra – hanno fatto carriera, grazie a quegli automatismi iniqui, previsti dalle leggi emanate di recente dal Parlamento italiano, per cui la figura femminile si è svilita vieppiù, proprio nel momento in cui si riteneva, invece, di portarla ad essere protagonista nel luogo più rappresentativo ed alto dello Stato e della democrazia del nostro Paese? D’altronde, la cultura odierna, in materia di parità fra i sessi, nasconde – a volte – delle dinamiche ipocrite, che rischiano solo di ammantare di una falsa aureola progressista ciò che è, invece, il frutto scellerato di meccanismi di azione e di ragionamento, che nascondono una tendenza sessista.
Quando, quindi, si realizzerà il definitivo salto di qualità?
Quando l’emancipazione sarà completa, tenendo conto del fatto che lo strumento di liberazione primario dal bisogno – sia economico, che morale – è rappresentato dalla crescita professionale di chi non dovrà così più essere dipendente – in vista del proprio sostentamento – dal marito o dal compagno?
Naturalmente, un pensiero ed un sentimento di empatia non possono non andare al maschio, il cui ruolo nella società ha subìto, ineluttabilmente, la spinta del protagonismo femminile: in qualità di marito, padre, figlio, compagno, fidanzato, riuscirà egli, dunque, a salvare ed a ridefinire un legittimo e condiviso primato, che non mortifichi le giuste aspirazioni femminili e sia compatibile con le istanze morali di una società in fortissima evoluzione?
O, forse, in suo soccorso dobbiamo invocare l’intervento delle associazioni di volontariato, che si prendono cura delle specie animali in via di estinzione?