Feltri, i Cinque stelle e la libertà di stampa

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La trovata di Feltri, che su Libero ha citato la “patata bollente” della Raggi, mettendo in discussione la moralità della Sindaca di Roma, e’ risultata ardita ed imprudente. Il giornalista lombardo non ha tenuto a freno la sua penna manifestando il suo pensiero senza troppe interlocuzioni.

E quasi unanime e’ seguita la condanna del  mondo politico, con i Cinque stelle in particolare  che hanno inscenato crisi nevrasteniche in merito. I Pentastellati hanno lanciato strali acuminati contro i giornalisti, definendoli meritevoli del 77esimo posto nella graduatoria della libertà della stampa italiana.

E qui ne hanno traviato il senso, in quanto la pur scadente posizione che ci vede appaiati a Romania, Bulgaria e Nigeria, non si riferisce certo alla qualità e alla professionalità delle penne italiche. La classifica, redatta annualmente da “Reporters senza frontiere”, rivela piuttosto la mancata tutela dei giornalisti italiani che soffrono di un clima di intimidazione e di condizionamenti, al pari di nazioni con regimi dittatoriali.

Siamo fanalini di coda dell’Unione Europea (stiamo meglio solo di Grecia, Cipro e Bulgaria) perchè i nostri giornalisti non godono della libertà di espressione degna di un paese libero. In Italia tra i 30 e i 50 giornalisti, secondo Reporters, sono sotto scorta della polizia per minacce di morte o intimidazioni; i più a rischio sono coloro che fanno inchieste su corruzione e crimine organizzato.

In Europa,  Finlandia, Norvegia ed Olanda godono di condizioni ideali per i giornalisti, mentre vanno peggiorando le cose per Russia e Turchia. In Turchia, dopo il mancato golpe del luglio scorso e la conseguente repressione di Erdogan, si sono spalancate le porte della prigione per tanti giornalisti, specie quelli che riportano il pensiero del PKK, il partito curdo dei lavoratori. A tal proposito e’ stato chiuso il quotidiano filocurdo Orgur Gundem, nonchè processati e condannati  giornalisti e redattori con la motivazione di propaganda terroristica.

Dello stesso giornale e’ stata tenuta in stato di detenzione per 136 giorni la giornalista ed attivista Asli Erdogan, 49 enne omonima del premier. Nella retata del luglio sono stati ristretti dal premier turco 150 giornalisti, oltre a politici, docenti e funzionari statali e chiuse numerose organizzazioni non governative contrarie alla linea del Premier. Storia analoga a quella turca e’ avvenuta in Egitto ove l’avvento del dittatore Al Sisi contro il governo dei Fratelli Musulmani (regolarmente eletto) ha messo alla gogna un gran numero di giornalisti. E purtroppo il sacrificio del nostro ricercatore Giulio Regeni rientra come caso emblematico di tale andazzo.

Il colpo di stato di Al Sisi è stato attuato nell’anno 2015 e alla fine dello scorso anno il dittatore ha creato un sedicente “Consiglio superiore per la stampa ed i media” per osservare e prevenire episodi di opposizione al regime.

Nel mondo, non brilla per liberta’ di stampa anche l’America latina, a causa delle precarie situazioni in molti Stati, nonostante ci siano processi di democratizzazione in corso. Solo in Messico negli ultimi dieci anni sono sati uccisi 23 giornalisti: qui mettere il naso nell’affare del traffico di droga  puo’ essere letale…

Anche per l’ America, che da sempre e’ stata alfiere della liberta’ di espressione, si prevedono tempi di ristrettezze. Trump nelle sue prime uscite ha gia’ manifestato scarsa apertura verso i giornalisti ed i comici che non siano rispettosi dei valori democratici americani; tanto che alcuni direttori di testate importanti, quali Vanity Fair o Conde’ Nast, hanno organizzato incontri a porte chiuse con il Presidente per concordare una linea di comune intesa.

Ci sono poi Cina e Russia che mostrano affinita’ di vedute sull’informazione. La Repubblica Sovietica e’ tenuta sotto controllo da un attento Putin che non ama troppe interferenze circa le decisioni in politica estera, come nelle questioni interne. In Cina, in virtu’ del protocollo vigente, non e’ consentito a giornalisti e reporter divulgare notizie o immagini che non siano passati prima al vaglio della censura. Ufficialmente per non metter a rischio i segreti di Stato, cosi’ in campo industriale, come in quello commerciale.

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