La Russia e la nuova guerra fredda dei gasdotti con l’Europa

In questi giorni estivi, tra le ferie agostane e i postumi delle crisi mediorientali, i destini della Russia sembrano abbracciare sempre di più quelli di tutta l’Europa, soprattutto il futuro del nostro approvvigionamento di materie prime per il prossimo periodo freddo.

Dopo l’incontro, per molti impensabile, dello scorso 9 agosto a San Pietroburgo tra il Presidente russo Vladimir Putin, in forte necessità di legittimazione internazionale, e il leader turco Recep Erdogan, appena scampato ad un colpo di stato e fortemente in crisi nei rapporti con l’occidente, qualche giorno addietro alcuni delegati della parte russa hanno formulato delle ipotesi circa un possibile scongelamento dei progetti economici che riguardano i due importanti gasdotti russi, utili per la diffusione dei prodotti del colosso russo GAZPROM: il cosiddetto “South Stream” e il “Turkish Stream”, che in realtà sono alterni. Tra la Russia e la Turchia, dunque, sarebbero in corso delle serie trattative per cominciare la costruzione del gasdotto “Turkish Stream”, è quanto si può comprendere da quanto ha dichiarato il ministro dell’Energia russo, Aleksandr Novak.

Tuttavia, è lo stesso Putin a non escludere che il suo paese possa riesaminare il progetto del “South Stream”, il gasdotto che partendo dalla Russia attraverserebbe la Bulgaria per raggiungere l’Europa meridionale; ma alla luce delle ormai vecchie intenzioni europee, oggi la Russia ha bisogno di garanzie granitiche sul piano giuridico, almeno per quelle che sono le richieste dello stesso Putin e del colosso energetico russo. La finalità di entrambi i progetti è la fornitura, attraverso il cruciale Mar Nero, di una considerevole mole di prodotti petroliferi l’anno, soprattutto verso l’Europa. Anche se, nel dicembre 2014, la stessa Bulgaria aveva congelato il “South Stream”, anche dietro pesante pressione della Commissione Europea, perché non risultava essere conforme alle norme del Terzo Pacchetto Energia vigente in Europa: documento che prevede che una parte non può essere al tempo stesso proprietaria di un’infrastruttura e fornitrice del carburante.

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A fronte della regola europea, la compagnia russa “Gazprom” aveva contrastato il dispositivo di queste norme in quanto non potevano essere estese al “South Stream” che si basava su di un accordo già siglato prima delle norme stesse. Con la interruzione del passaggio bulgaro, Putin aveva annunciato il nuovo progetto denominato “Turkish Stream”: in sostanza, lo stesso tubo collocato sul fondo del Mar Nero piuttosto che indirizzarsi verso la Bulgaria, sarebbe stato deviato in direzione della Turchia. Tuttavia, il progetto era stato congelato in seguito all’abbattimento del jet russo da parte dell’aviazione turca nel novembre 2015.

Secondo gli esperti del settore, ambedue i progetti comportano gravi rischi politici almeno per la Russia, e, a causa dell’irremovibile posizione dell’Unione Europea sul Terzo Pacchetto Energia, il “Turkish Stream” resta per Mosca quello più opportuno, benché in questo caso “Gazprom” dovrebbe dipendere dalla Turchia, un paese considerato a rischio elevato nei rapporti di forza. Per il colosso russo, se i tubi transitassero per il paese di Ataturk, questo avrebbe le stesse possibilità che ha attualmente l’Ucraina di esercitare delle pressioni politiche sulla Russia, non dimenticando che la compagnia statale turca “BOTAS”, che detiene il monopolio del gas nel paese, potrebbe far ricorso all’arbitrato internazionale per esigere degli sconti da “Gazprom”. Tuttavia, sarebbe un male minore rispetto ad una Bulgaria che deve tener conto delle richieste della Commissione Europea, mentre la Turchia è ancora autonoma nelle sue decisioni della UE, non essendone parte, ma tale indipendenza e sregolatezza comporta domare un cavallo senza freno.

Un altro rischio per entrambi i progetti sta nel fatto che quest’anno la Russia, a seguito del congelamento dei progetti dei gasdotti del Mar Nero, aveva annunciato l’estensione verso sud del “North Stream”, il gasdotto che transita per il Mar Baltico e fornisce i paesi nordici. In tale contesto il rischio principale per il “South Stream” e per il “Turkish Stream” non sarebbero tanto la qualità delle decisioni politiche, quanto le tariffe basse del “combustibile blu”, legate a quelle degli idrocarburi, che hanno prezzi stabilmente bassi (il gas è quota parte della fornitura di idrocarburi e dunque soggetta alle stesse tendenze di prezzo). Secondo alcuni altri analisti, però, già oggi la capacità degli oleodotti esistenti può risultare eccessiva rispetto all’effettivo fabbisogno. Se, infatti, il transito ucraino funzionasse regolarmente, non ci sarebbe alcuna necessità di costruire altri oleodotti.

Così posta la questione, sotto il profilo puramente economico l’unica soluzione corretta per risolvere il problema sarebbe quella di costruire una sorta di “North Stream-2”, che consentirebbe di fare a meno del transito ucraino, eliminando con un solo colpo anche le tensioni regionali e gli intoppi di produzione. Ma al contempo, le trattative sul “South stream” e sul “Turkish Stream” potrebbero servire a rafforzare la posizione della Russia nei suoi negoziati con i paesi consumatori dell’Europa e, in parte, a creare quelle interrelazioni bilaterali fondamentali per recuperare il periodo recessivo che il paese sta vivendo.

A questo punto è bene capire che per il prossimo autunno e inverno sarebbe molto più utile pensare a forme alternative di riscaldamento, visto che fra trattative economiche calde e rapporti diplomatici freddi tra Stati, i nodi energetici arriveranno al pettine, e di riflesso nuove tensioni nelle regioni dell’est Europa possono creare interruzioni nelle forniture di idrocarburi, come testimoniato all’inizio della crisi ucraina, ma anche interruzioni negli equilibri di pace di quelle zone.

 

Dott. Antonio Ansalone

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