Denis Verdini ed il PD

La notizia della settimana è, certamente, rappresentata dall’accordo stipulato fra il PD renziano ed il Senatore Verdini, il quale sta dando vita ad un gruppo parlamentare a Palazzo Madama, composto di transfughi di Forza Italia, che dovrebbe sostenere il percorso delle riforme costituzionali, quando queste approderanno in Parlamento per la seconda e definitiva approvazione.
Naturalmente, la notizia, di per sé, non colpisce in modo particolare, visto che, secondo Costituzione, i Senatori ed i Deputati non hanno vincolo di mandato, per cui, nel corso di una legislatura, peraltro complessa assai come quella attuale, possono cambiare casacca, quando reputano che sia giusto o opportuno.
A colpire, invece, è un fatto, non di secondaria importanza: Verdini non solo è stato uno dei principali collaboratori di Berlusconi, ma soprattutto è implicato in alcuni procedimenti penali significativi, per cui, in tal caso, il PD renziano ha messo alle sue spalle il suo passato giustizialista, pur di raccogliere quei numeri necessari in Senato per arrivare all’approvazione della revisione della Costituzione.
Si ricava, dunque, che il principale partito del Centro-Sinistra (ammesso che lo si possa ritenere, ancora, tale) ha modificato, non poco, il suo atteggiamento nei confronti di chi, comunque, vanta problemi con la Giustizia penale.
In verità, siamo convinti che il medesimo partito, ai tempi di Bersani o di D’Alema, non si sarebbe mai “contaminato” in modo così lapalissiamo con un berlusconiano della prima ora, peraltro sotto processo.
Ma, i tempi giustamente cambiano ed, anche, la diversità morale degli eredi del PCI non esiste più.
Verdini, alla pari di qualsiasi altro parlamentare, può essere corteggiato e può ricevere, finanche, la proposta di una candidatura alle prossime elezioni, se è in grado di garantire il sostegno di una decina di Senatori all’iter legislativo più rilevante dell’odierna legislatura.
Peraltro, non si può non rimarcare come Verdini sia toscano, esattamente come Renzi, per cui è evidente che, nelle attuali Camere, si sta formando uno schieramento trasversale ai partiti tradizionali, che sostiene il Governo in base al criterio dell’appartenenza territoriale.
Nessuno di noi, invero, può scandalizzarsi perché il Senatore Verdini diviene un alleato di Renzi o, eventualmente, contratta la candidatura per sé e per qualche suo amico nelle liste del PD in cambio di un aiuto parlamentare, ma certo ci farebbe piacere se il principale partito italiano chiarisse, definitivamente, la sua natura politica, visto che – come abbiamo detto prima – fino a qualche anno fa Verdini sarebbe stato trattato come un appestato e gli sarebbe stato riservato il medesimo trattamento, che il PCI ed i DS riservarono agli inquisiti della Prima Repubblica ed al suo stesso ex-capo, il Cavaliere.
È ovvio ed utile, comunque, sottolineare che, nel corso dell’ultimo biennio, molte coordinate sono cambiate radicalmente, per cui un partito di potere, come il PD, può assumere le strategie più discutibili, purché siano opportune per il perseguimento di un fine parlamentare, considerato – a torto o a ragione – essenziale.
Bisognerebbe, però, ascoltare gli umori della pubblica opinione, perché, se si cambia la Costituzione con il contributo fondamentale di Verdini, forse si può temere che il prodotto finale non sia migliore, in termini di democraticità, del dato di partenza, per cui, in tal caso, si rinuncerebbe ben volentieri a qualsiasi iter riformatore e, dunque, non si pagherebbe alcun prezzo politico a chi è, pur sempre, attenzionato dalla Magistratura.
Forse, è arrivato il momento che, anche, la minoranza del PD faccia sentire la sua voce, perché non si possono, in pochi mesi, mettere in piedi tanti cambiamenti, senza aver mai ricevuto un esplicito mandato, in tal senso, dalla platea congressuale.
Forse, gli elettori del PD, che votarono per Renzi alle primarie del dicembre 2013, sapevano che sarebbe stato approvato il Jobs Act o il disegno sulla “Buona Scuola” o, ancor peggio, hanno dato il loro preventivo assenso alla modifica così radicale del dna del loro partito, che è giunto ad offrire una scialuppa di salvataggio ad un Senatore così discusso, come l’ex-braccio destro di Berlusconi?
Forse, la democrazia diretta all’interno dei partiti è un bene così prezioso, che però va tutelato opportunamente, affinché si eviti che chi viene investito di un incarico non si reputi, poi, il deus ex-machina, in grado di sconvolgere – in modo autocratico – una tradizione di pensiero o, comunque, dei valori definiti, ormai, da tempo.

Rosario Pesce

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