Il governo italiano ha introdotto il Reddito di Libertà, un fondo da 30 milioni di euro destinato alle donne vittime di violenza. La misura prevede un contributo mensile di 500 euro per un massimo di 12 mesi, con l’obiettivo di fornire un supporto economico a chi si trova spesso in situazioni di precarietà dopo aver subito abusi.
Tuttavia, il provvedimento ha generato numerose polemiche. La somma stanziata è stata definita insufficiente rispetto all’ampiezza del problema: con almeno 20mila potenziali beneficiarie ogni anno, i fondi coprirebbero solo una piccola parte delle necessità. Inoltre, i 500 euro mensili, seppur simbolicamente significativi, non bastano a garantire la copertura delle spese essenziali, come affitti, cure mediche, consulenze legali e percorsi di reinserimento professionale.
A complicare ulteriormente l’accesso al sussidio sono i ritardi nello sblocco dei fondi e la complessità burocratica che rende difficile ottenere l’aiuto per molte beneficiarie. Anche il criterio uniforme per l’assegnazione del contributo sembra non tener conto delle specificità di ogni caso, penalizzando situazioni più gravi o complesse.
Secondo il Centro Studi Iniziativa Comune, il Reddito di Libertà, pur rappresentando un passo importante, resta un intervento limitato e non risolutivo. “Un contributo di 500 euro al mese non è sufficiente per garantire un reale percorso di autonomia. È necessario un impegno più deciso, con risorse adeguate e politiche integrate nei settori dell’educazione, del lavoro, della giustizia e della sanità”.
L’appello al governo è chiaro: riconoscere la reale portata del fenomeno e adottare interventi strutturati e ambiziosi per sostenere le donne vittime di violenza, affrontando questa sfida con la dignità e la serietà che merita.
